La drammatica testimonianza che pubblichiamo in questa pagina non è un episodio isolato,ma uno di quegli oltre sei milioni di casi che ogni anno vedono, suo malgrado, protagonista una donna."La violenza sulle donne ha assunto le caratteristiche di una piaga sociale, la prima causa di morte o invalidità permanente delle donne tra i 14 e i 50 anni. Più del cancro. Più degli incidenti stradali. E stranamente, rispetto a quanto le cronache quotidiane ci dicono, le statistiche rimandano ad una verità più brutale: la violenza più diffusa non si consuma tanto sulla strada o nella notte, ma sta nella normalità, si nasconde tra le mura domestiche, nella famiglia, si annida là dove il potere maschile è sempre stato considerato naturale. E' la famiglia il luogo più pericoloso per le donne. È lì che subiscono violenza di ogni tipo: violenza fisica fatta di spintoni, calci, pugni, bruciature, capelli tirati,fratture alle ossa, lesioni al timpano; violenza psicologia intrisa di umiliazioni, discredito sul ruolo di donna e di madre,violenza sessuale, stupro, violenza economica, fino a perdere la vita".
Marisa Piombo, assistente sociale operante presso la "Casa delle Moire", ci parla in modo accorato delle donne che si sono rivolte al centro per un percorso di accoglienza e di quante,intrappolate nel loro dolore, non denunciano la violenza subita.
Perché questo silenzio da parte delle vittime?
"Le motivazioni sono diverse. spesso per paura, a volte perché non si vuole denunciare chi si è amato, qualche volta perché non si hanno le parole per descrivere le brutalità subite. Solo il 38,33% delle donne maltrattate che si rivolge al centro, ha già denunciato o si risolve a denunciare la violenza subita. La problematicità di questo aspetto, rende il fenomeno ancora più sommerso e relegato nella sfera privata. Anche i bambini che vivono in una famiglia dove è presente violenza e maltrattamento, ne subiscono conseguenze e sono essi stessi oggetto di maltrattamento. Dal 1992 ad oggi abbiamo seguito più di quattromila donne, con un percorso che parte dall'accoglienza telefonica della domanda, si sviluppa nei colloqui, si arricchisce delle consulenze psicologiche e legali e si struttura in progetti individuali di vita, definiti in rete con i servizi".
Le vittime, secondo i dati Istat, sono spesso donne laureate e diplomate, dirigenti e imprenditrici, donne che hanno pagato con un sopruso la loro emancipazione culturale, economica e la loro autonomia.
Com'è possibile, secondo lei, cambiare questo stato di cose?
"La svolta sta nell'uscire dal silenzio, snidare la cultura che produce violenza fatta dal mancato riconoscimento da parte degli aggressori dell' autonomia, della responsabilità e capacità di scelta alle donne. Ecco il salto culturale di cui fa parte anche una presa in carico del problema da parte degli uomini. Sarebbe ora che cominciassero a interrogarsi sulla sessualità, sul loro ruolo sociale e familiare e sul perché dei loro comportamenti violenti”.
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