Il lavoro femminile è ben consolidato all'interno della società attuale: infatti, se, da un lato, la donna non intende rinunciare ad un diritto acquisito dopo anni di lotte sociali, dall'altro, viene ricercato un maggior guadagno perché si traduce in un innalzamento del tenore di vita.
Il problema principale è che, in ogni caso, i pesanti orari di lavoro limitano, spesso, la donna nell'adempiere al suo ruolo di madre.
Assenze prolungate, deleghe dei compiti genitoriali a baby sitter, nonni, ecc… scatenano ansia e sensi di colpa nella madre che, nei primi anni di vita del bambino, ne è la fonte primaria di riferimento.
La psicologia ha, infatti, dimostrato l'esistenza nella donna di una forte tendenza - che affonda le sue radici nella biologia - a volersi occupare in prima persona del figlio, non accettando di affidarlo, in alcuni casi, neppure allo stesso padre. Il distacco dai figli conseguente al lavoro può dare origine a comportamenti diversi, nel tentativo di mitigare il senso di colpa, come un eccessivo permissivismo, che include continue "concessioni" alle richieste dei figli, o, invece, un'esagerata rigidità per controllare la loro vita e, così facendo, la propria ansia.
Se, nei giusti limiti, tali emozioni possono essere normali reazioni ad un distacco fisico ed emotivo; se troppo intense rischiano di pregiudicare il legame genitore/figlio. Si tratta, quindi, di ricercare un equilibrio tra i due atteggiamenti, puntando più sulla qualità che sulla quantità del tempo speso con i figli, per cui la madre resta per tutta la vita il riferimento privilegiato.
Ottimizzare i tempi, quindi, ma non solo: essenziale, infatti, risulta un coinvolgimento di tutte le figure importanti per il figlio che arricchiscano, con il proprio contributo, la sua crescita.
Il fine è quello di distribuire le responsabilità educative. Se si scontra con il desiderio materno di cura esclusiva, è utile per non farsi soffocare dai sensi di colpa, dalla sensazione di non aver mai fatto abbastanza.
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