Raccontare la mia storia non è facile. La nostra psiche di fronte alla sofferenza si barrica, cerca di rimuovere i ricordi, li seppellisce in fondo all'anima, affinché il passato non torni nuovamente a fare male, ma ho deciso di tornare a ricordare volutamente, lo faccio per tutte quelle donne che aspirano al bene più grande: la libertà. Lo faccio per tutte quelle povere anime candide, disperate, sole, piene di paura, alla ricerca della perduta dignità e poco coraggio per riprendersi la propria vita.
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Quando lo conobbi avevo 16 anni, era un periodo bruttissimo per la mia giovane età: avevo dovuto lasciare il liceo per seguire i miei genitori, affetti da una terribile, devastante malattia, la sclerosi a placche, che li costringeva a lunghi periodi di degenza ospedaliera e a terapie invasive e devastanti. Avevano bisogno di me e lo aveva anche mia sorella più piccola. Lo feci, rinunciando a tutti i miei sogni.
Lui mi sembrò un angelo caduto dal cielo, dolce attento, premuroso. Me ne innamorai perdutamente. Ai miei genitori non piaceva, dicevano che c'era qualcosa di subdolo in lui, ma io pensavo fosse la classica gelosia genitoriale.
Anni dopo dovetti ricredermi. Si rivelò nel corso degli anni violento con me, con i suoi genitori, era invidioso di tutto e di tutti e non aveva morale. Inoltre lavorava solo pochi mesi l'anno, per poi sperperare i suoi guadagni elaborando macchine, e sfruttava me e il mio lavoro. Cominciai ad avere paura di quella strana personalità. Decisi di lasciarlo sei anni dopo il nostro fidanzamento. Il giorno che glielo comunicai, faceva freddo, parlammo in macchina, gli dissi tutto. La sua risposta fu una pazzesca corsa in macchina, lo supplicai di fermarsi ma non mi ascoltava, sembrava pazzo. Quando si fermò, in un luogo che non ricordo, mi stuprò selvaggiamente. Lacrime, rabbia, vergogna, sangue, i miei sogni idilliaci sulla mia prima volta infranti nello squallore di una violenza.
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Mi riportò a casa senza rivolgermi la parola, tremavo, ma non dissi nulla ai miei genitori. Cosa dovevo fare? Li avrei uccisi, il loro debole cuore malato non avrebbe retto all'emozione. Un anno dopo lo sposai. Fu l'inizio di un nuovo incubo, io vivevo solo quando lui partiva, anche se ero sempre controllata a vista dalla sua famiglia,. Quando tornava si divertiva a picchiarmi, umiliarmi, continuava a sperperare i suoi soldi con altre donne e addossava a me tutte le colpe. Poi nacquero i nostri figli, anche se lui non voleva fare il padre, io ero felice, riversavo tutto il mio amore su loro, erano tutto il mio mondo. Ma cominciò a trattare male anche le mie creature e questo non potevo sopportarlo. Mio figlio ricorda, ancora dopo anni, la testa di mamma sanguinate sbattuta sotto un lavabo; mia figlia ricorda ancora che ci chiudevamo nella mia stanza quando arrivava papà. Mio Dio, come faccio a perdonare me stessa per i ricordi dei miei figli!!
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Cinque anni fa, mio padre peggiorò, era arrivato nel pieno dell'evoluzione della sua malattia. Fu terribile: problemi respiratori, paralisi completa, incontinenza e perdette completamente una gamba a seguito di una cancrena. Io continuai ad assisterlo, non lo abbandonai, nonostante le botte che prendevo da mio marito, nonostante l'umiliazione quando mi diceva davanti ai bambini che puzzavo di medicine e morte come mio padre. In quel periodo tra me e il mio papà s'instaurò un rapporto forte e particolare, diventammo amici padre e figlia, esseri complementari. Ero magra da paura, non mangiavo e non dormivo più. Una notte, papà mi invitò a parlare, mi mostrò la sua preoccupazione. Ebbi la consapevolezza, in quel momento, che quel padre, per me così fragile, nella sofferenza era diventato una grande montagna. Mi sentii protetta e gli raccontai tutto. Fu la prima volta che lo vidi piangere, poi mi disse: “Ora, piccola mia basta, ti ordino di riprenderti la tua vita. Vivi per me, per quelli che hanno sofferto come te, per i tuoi figli, riprenditi tutti i tuoi sogni e corri, corri, corri con le tue gambe sane e non tornare più indietro”.
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L'ho fatto. Un mese dopo la morte di mio padre, mi sono rivolta a un bravo avvocato e ho chiesto la separazione. Sono L. ho 43 anni, sono libera, vivo con i miei figli, ho ripreso gli studi e lavoro nel sociale in memoria di mio padre.
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A te donna che leggi dico: corri piccola mia, corri e riprenditi la tua vita...
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