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Un lettore ci scrive | |||
di Diego Fabra - e-mail | |||
Una delle lettere giunte alla nostra redazione mi colpisce per il tono. La lettera s'intitolava "Getto la spugna", e proseguiva "…e mi tengo il dolore". L'autore sottopone la storia di un dolore davvero insopportabile a un piede. Il dolore condiziona da tempo il sonno, la quiete e la fiducia dell'uomo. Dopo aver consultato i migliori specialisti nazionali, aver assunto farmaci di ogni genere ed essersi solo "intossicato", scrive di gettare la spugna… E' uno sfogo. Ci mette a parte anche di una storia. Un giorno un ragazzino, amico mio, mi fa: "Perchè non chiami la Caporlingua?" (tutti in paese avevamo un soprannome). E così fu. Sarà stato un caso, mi dissi (ero uno degli "intellettuali" del paese. E, però, ogni altra volta che mi slogai qualcosa... chiamai sempre la "Caporlingua" che, in non più di 24 ore, me l'aggiustava!". Lo visito. Consulto i sacri testi, deduco che si tratti di neuropatia autonomica, una forma molto misteriosa di dolore neuropatico. La cura? I sacri testi consigliano l'uso di farmaci stabilizzanti il neurone, specie di antiepilettici. Dopo poco tempo il lettore mi scrive: "Sono un cattivo soggetto….: Mi spiace, dott. Fabra, ma, con tutta la stima che ho per Lei, non me la sono sentita di acquistare le pillole che mi ha prescritto". Rispondo: "Non so come dirglielo, ma speravo che mi disobbedisse... Mi sento come coloro che non hanno saputo dare la risposta più opportuna e l'hanno buttata lì, secondo scienza, ma senza alcuna convinzione...". Il lettore, passati pochi giorni, m'informa che, manipolando la cute del piede sente una piccola "lenticchia dura". S'improvvisa chirurgo e la fa venir fuori. Un residuo durissimo non sa di cosa. Il piede alleggerisce. Ma deve esserci dell'altro. Stabiliamo di effettuare una ricerca a campo aperto. Siamo diventati quasi "colleghi"! Mi regala anche alcuni suoi scritti di volo e di vita. In questa vicenda posso dire di aver guadagnato molto: amicizia, esperienza, insegnamenti e due splendidi volumetti che terrò cari. (d. f.) |
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