Reagire. Reagire. E' quello che diciamo un po' tutti. Alla criminalità, ai tanti difetti dello stato sociale, alla banalità dei messaggi consumistici, al disagio affettivo.
Lo diciamo ai giovani, spesso incapaci di scendere in piazza quando disoccupazione, lavori mal pagati e clientelismo crescente lo richiederebbero. Lo diciamo ai commercianti oppressi dal pizzo, ai tossicodipendenti e alle prostitute oppresse dal racket. Lo diciamo agli schiavi e alle schiave del sesso, del gioco, dell'alcol, del fumo. Lo diciamo alle tante donne che subiscono la violenza maschia, a tutti coloro che vedono calpestati i diritti, ai carcerati in attesa perenne di giustizia, ai tanti precari da stabilizzare.
Reagire. E' anche ciò che diciamo alle vittime dell'usura. Denunciate tutti gli strozzini.
Non vergognatevi. Qualunque sia il motivo che vi abbia condotto dai tanti squallidi profittatori che riempiono indegnamente le proprie tasche col denaro altrui. Denaro non guadagnato. Denaro che come una rogna implacabile infetta altro denaro. Una produzione sporca, una tragedia con due attori protagonisti: uno senza fiato in gola, oppresso da disperazione; l'altro, gonfio e tronfio, viscido e untuoso come il grasso di cui si nutre.
Diciamo sempre di reagire, di denunciare, di tradire i loschi traffici del denaro sommerso, di tendere tranelli. Non può, non deve esistere un commercio della disperazione.
L'illusione che chi abbia denaro possegga anche diritti sulla vita altrui è sostenuta dalle mille immagini luccicanti di un mondo impazzito nel suo edonismo.
Nessuno coltivi questa perversa voglia di oppressione. Nessuno faccia del suo simile un gradino per la propria ascesa.
Reagire. Dobbiamo reagire. E che lo Stato non abbia mai a lasciar soli i proprio figli più deboli.
Nessuna distrazione. Altrimenti reagire non serve.
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