anno 3 
n. 46 
22 dicembre 2008
sommario


PRIMA 
- Punti di vista Su voi e su noi (di Diego Fabra) 

pag. 2: MEDICINA
- Per combattere i problemi di sterilità la coppia deve avere un ruolo attivo  (di Giuseppe Valenti) 

pag. 3: MEDICINA
- La depressione in adolescenza: riconoscerla per curarla (di Angela Ganci ) 
- Inbox

pag. 4:  L’APPROFONDIMENTO
-
Un po' di chiarezza sul caso Eluana Englaro (di Luciano Sesta) 
-
Recapiti utili

ag. 5: UN PO' DI RELAX 

- Cruciverba (a cura di Rita Patti) 
- Sudoku
- Scacchi
- Soluzioni dei giochi
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pag. 6: ATTUALITA'
- Le nuove frontiere sulle malattie del colon - retto (di Roberta Gizzi)
- Spettacolo teatrale realizzato dagli utenti della "salute mentale"
- Consigliati

pag. 7: RUBRICHE
- La nostra casa Aspettando il Natale (di Mary Arena)
- Mangiarbene
Peperoni ripieni 
di Aurora
(a cura dello Studio Nutrizione e Dietetica)
- Recapiti utili
-
Annunci immobiliari

pag. 8: CERCHI UNA FARMACIA?
- Farmacie di turno

pagina 3 - L’APPROFONDIMENTO
Un po' di chiarezza sul caso Eluana Englaro
di Luciano Sesta - docente di Bioetica della Facoltà di Lettere e Filosofia

Come è noto, il 13 novembre scorso la Corte di Cassazione ha autorizzato la rimozione del sondino naso-gastrico che mantiene in vita Eluana Englaro, una ragazza di 37 anni che da 16 è in "stato vegetativo persistente". Sulla vicenda abbiamo sentito diversi pareri, che si sono distribuiti, tendenzialmente, su due fronti: da una parte c'è chi ritiene che un essere umano privo di coscienza, come è Eluana, è ormai di fatto morto come persona, per cui mantenerlo in vita significa cadere in una forma di accanimento terapeutico. Dall'altra parte, invece, c'è chi ritiene che anche se privo di consapevolezza, un essere umano conserva la sua dignità di persona, per cui mantenerlo in vita e accudirlo non è accanimento terapeutico ma espressione di solidarietà umana nei confronti di chi è più debole. Molti si sono fermati a questa alternativa, sposando ora l'una ora l'altra posizione, senza però riflettere in modo adeguato sui termini della questione. A questo proposito, è bene fare un po' di chiarezza.

Cominciamo dallo "stato vegetativo". Si tratta di una condizione drammatica, che può avere cause diverse, non ultima quella di gravi traumi cranici, per esempio in seguito a incidenti stradali, come è accaduto a Eluana. Lo stato vegetativo si distingue dal "coma irreversibile", perché mentre dal "coma irreversibile" - oggi chiamato "stato di morte cerebrale" - nessuno si è mai risvegliato, ci sono stati numerosi casi di pazienti come Eluana che invece si sono risvegliati, anche dopo 19 anni (come l'americano Terri Wallis e il polacco Jan Grzebski). Il paziente in stato vegetativo non dà segni di consapevolezza di sé e dell'ambiente circostante, anche se si addormenta regolarmente la notte risvegliandosi la mattina e anche se può seguire, con gli occhi, i movimenti delle persone che gli sono accanto. Questo è possibile perché i danni alla corteccia non toccano, in questi pazienti, il resto del cervello, e cioè il tronco encefalico, da cui dipendono la respirazione, l'attività cardiaca, i processi digestivi, la temperatura corporea ecc. Come tutti i pazienti in stato vegetativo, dunque, Eluana non ha bisogno di respiratori artificiali, di dialisi o di trasfusioni, visto che respira da sola e visto che i suoi organi funzionano tutti normalmente. Ciò di cui Eluana ha bisogno per vivere non sono sofisticate terapie mediche, ma solo cibo e acqua. Ovvero le stesse cose di cui ha bisogno ciascuno di noi. 

Si capisce meglio, a questo punto, che Eluana non è vittima, come a volte abbiamo sentito dire, di "alimentazione forzata" o di "accanimento terapeutico". L'"alimentazione forzata", infatti, riguarda i pazienti che, per varie ragioni, non riescono ad assimilare il cibo traendone beneficio. Ma non è questo il caso di Eluana, che assimila regolarmente e con beneficio il cibo che le viene dato attraverso il sondino. Perciò non si può parlare nemmeno, nel suo caso, di "accanimento terapeutico". Innanzitutto perché dare cibo e acqua a chi non è autosufficiente non è una terapia. In caso contrario dovremmo dire che nutrire un neonato con il biberon è una terapia o che l'umanità intera, mangiando e bevendo, si sta curando perché è "malata" di fame e di sete. C'è accanimento terapeutico, invece, quando un trattamento medico è inefficace, invasivo e dannoso, o anche quando le sofferenze e i disagi che esso provoca al paziente sono superiori ai benefici ottenuti. Un classico esempio di accanimento terapeutico è una chemioterapia che invece di portare benefici, prolunga penosamente le sofferenze di un malato terminale. 
In questi casi è giusto, di comune accordo, evitare di accanirsi sul poveretto, lasciandolo morire in pace. E, si badi, qui non si tratterebbe di eutanasia, ovvero di uccisione del malato, perché la morte sarebbe provocata dalla malattia e non certo dai medici, che ormai non possono più contrastarla. Diverso è il caso di Eluana. 

Non si tratta di una malata terminale sottoposta ad accanimento terapeutico. A tenerla in vita, infatti, non sono né farmaci né sofisticati macchinari medici che le impongono disagi e sofferenze, ma la semplice alimentazione e idratazione che soddisfano le sua fame e la sua sete. Proprio come un neonato di pochi giorni, che è perfettamente vivo ma che ha bisogno di qualcuno che si prenda cura di lui, visto che non può farlo da solo. 
Se le cose stanno così, allora la decisione di sospendere la somministrazione di cibo e acqua equivale a una grave omissione di soccorso, perché condanna il paziente a morire di fame e di sete. In questo caso, infatti, Eluana non morirebbe a causa della sua patologia, come il malato terminale a cui sospendiamo la chemioterapia, ma di disidratazione. 
Si dice, però, che Eluana stessa aveva parlato chiaro, confidando a un'amica che, qualora si fosse trovata in stato vegetativo, avrebbe preferito morire. Perché non dovrebbe essere giusto rispettare la sua volontà? La risposta è semplice: perché non siamo sicuri che sia la sua volontà. Una volontà non certificata ma solo ricostruita in modo vago e generico attraverso indizi, come lo stile di vita di Eluana, la sua visione delle cose ecc. non può essere considerata affidabile. Soprattutto perché non c'è ragione di dare credito solo ad alcune testimonianze piuttosto che ad altre. Ci sono infatti anche le testimonianze contrarie di alcune compagne di classe e amiche, secondo le quali Eluana non avrebbe mai pensato di voler morire, come le attribuisce il padre-tutore Beppino Englaro. E se oggi, in Italia, con una volontà ricostruita in questo modo non si può lasciare in eredità nemmeno un ciclomotore, perché si dovrebbe poter lasciar morire una ragazza? Si potrebbe però obiettare: e se Eluana avesse lasciato per iscritto una sua chiara ed esplicita volontà di morire? Per esempio attraverso un "testamento biologico"? 
Anche se Eluana avesse davvero, tanti anni fa, manifestato una volontà libera e consapevole di interrompere non le terapie, ma la stessa alimentazione e idratazione, rimarrebbe lo stesso un problema di non poco conto: lo vuole anche adesso? Ieri Eluana conduceva una vita completamente diversa, aveva esigenze diverse; oggi, invece, ha solo bisogno di un po' di cibo e di acqua. Siamo sicuri che Eluana avrebbe accettato anche se le si fosse detto che sarebbe stata lasciata morire disidratata in 15 giorni di agonia? In realtà, chi dice: "se mi trovassi in stato vegetativo non vorrei vivere" sovrappone astrattamente le sue attuali esigenze di persona sana e cosciente alle esigenze che potrà avere quando sarà disabile e incosciente. 

Chi dorme o chi non ha consapevolezza di sé e dell'ambiente circostante, come un neonato di pochi giorni, non soffre in alcun modo per il fatto di non poter andare in bicicletta. Ma se gli si fa mancare l'aria, l'igiene, l'idratazione e l'alimentazione, certamente soffre. Insomma, nel dubbio circa l'effettiva volontà di Eluana, anziché attaccarsi a una sua parola detta tanto tempo fa in una situazione completamente diversa da quella che lei poteva allora prevedere, sarebbe più umano e ragionevole evitare di toglierle la vita, per non correre il rischio di uccidere una persona che in realtà non voleva morire.

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