Ad ogni anniversario dell'uccisione di don Pino Puglisi si enfatizza l'impegno delle istituzioni per proseguire l'opera del parroco che non lasciò soli i suoi fedeli oppressi nella vita quotidiana dalla mafia. Nella realtà, si registrano progetti a termine e tanti protagonismi.
Per il sociale la gente del quartiere ha pochi coraggiosi punti di riferimento, che non trovano adeguata collaborazione da parte delle strutture pubbliche.
Siamo convinti che dopo le pesanti sconfitte che magistratura e forze dell'ordine imprimono a Cosa nostra che ha reso un deserto questa parte della città, dovrebbero arrivare tanti "giardinieri": una rete di collaborazione e sinergia fatta da operatori e medici con gli ospedali, da burocrati e politici e amministratori con servizi pubblici funzionanti.
Non si dovrebbe mai lasciare nessuno di loro da solo o senza risposte per un abitante della zona. Medici, assistenti sociali, insegnanti, riabilitatori, chiamati a sostituire le "erbacce" con i rigogliosi giardini del diritto alla salute, ai servizi, alla cultura, alla civiltà, devono potere sempre dimostrare - alla gente che crede in loro e nella possibilità di "ritorno alla vita" - che "lo Stato c'è".
Non basta dire a chi ha subito per decenni "abbi fiducia", occorre anche dimostrare che il lato della legalità è quello giusto. Per questo sosteniamo da anni Pippo Sicari, il medico di famiglia amico di don Puglisi che con il coraggio della semplicità anima le attività di "Quelli della rosa gialla" riuscendo persino a portare la cultura di Brancaccio a Roma e la capacità di recupero in America.
Con loro i disabili tornano alla vita normale. Miracoli della speranza di Brancaccio che le istituzioni non devono fare morire. Sarebbero più colpevoli delle pallottole che spensero "3 P".
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