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pagina 5 - MEDICINA - LA PAROLA AI LETTORI | |||
Non sempre un attacco
di cuore è la fine del mondo |
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di Edoardo Mangano | ||||
Quando, nella notte fra il 21 e il 22 luglio, ho accusato i primi sintomi di quello che in termini tecnici (come avrei poi appreso) si chiama dissecazione dell'aorta, a tutto potevo pensare tranne che fossi un candidato ad un infarto. In effetti, ho sempre condotto una vita sana, attiva; ho sempre controllato il mio peso corporeo e la mia pressione era costantemente 80 su 120; se aggiungiamo a tutto ciò che praticamente non fumavo (solo 3 - 4 sigarette al giorno), non assumevo superalcolici (solo un bicchiere di buon vino a pasto) e che facevo molto sport (40 - 60 vasche in piscina più un'ora di tennis al giorno), non mi ritenevo certo un candidato ad un infarto. E, in effetti, la resecazione dell'aorta non è un infarto, ma la foratura di una parete che provoca il trafilamento del sangue per la nuova via, con conseguente slittamento delle pareti esterne. Come mi hanno poi spiegato, non si trattava di infarto (che, come tutti sanno, è la necrotizzazione di una parte del cuore, conseguente in genere all'occlusione di una delle valvole d'accesso per la presenza di uno dei fattori di rischio sopra elencati), ma di qualcosa di più subdolo, meno prevedibile e con un potenziale di esito letale pari all'80%.
Premetto che quanto segue è stato rimosso dalla mia memoria e ricostruito, quindi, grazie alle testimonianze di mia moglie e quant'altri coinvolti. Pare che il fenomeno sia clinicamente noto e conosciuto come autodifesa. Pare che quella notte sia andato da mia moglie, che riposava nella stanza vicina, e che le abbia detto: "Cara, non so come sia possibile, ma temo di aver avuto o di stare avendo un infarto!" In effetti, in quel momento avevo già un dolore al petto notevole. Mia moglie, senza perdersi d'animo, pur non essendo affatto convinta, ha chiamato il 118. E qui è scattata la prima coincidenza che mi ha salvato la vita: i due operatori erano veramente in gamba ed hanno capito subito che i sintomi che accusavo non erano tipici di un infarto, ma di un problema cardiovascolare e che, quindi, dovevano portarmi non al pronto soccorso più vicino, ma ad uno attrezzato per questa patologia e, di conseguenza, mi hanno condotto presso il pronto soccorso dell'Ospedale Civico. Lì, dopo avermi iniettato una seconda dose di morfina per contrastare i dolori alla gamba destra (che erano divenuti insopportabili), hanno, innanzitutto, compreso che non si trattava di infarto, ma di qualcosa che tecnicamente viene descritto come "resecazione dell'aorta", che va trattata con la sostituzione e il reimpianto delle parti danneggiate. Tutto ciò quando, come nel mio caso, il foro o la lacerazione avvengano nella parete interna, perché, altrimenti, semplicemente manca il tempo per intervenire e la vita si arresta. Ebbene, nel mio caso la lacerazione era avvenuta proprio nella parete interna dell'aorta, dando origine a quel fenomeno che vede i tre strati costituenti l'aorta scivolare uno sull'altro, senza costituire più un insieme unico, in una sorta di slaminamento. E qui è scattato il secondo colpo di fortuna: sono stato trasferito al reparto di cardiochirurgia dove operano eccellenti professionisti nei settori di competenza: dal prof. Follis (primario validissimo, che abbiamo la fortuna di avere strappato al Centro di Cardiochirurgia di Albuquerque), al dott. Filippone (vice, per così dire, di Follis, ma altrettanto serio e preparato), a tutta una equipe che sarebbe stato impossibile augurarsi più seria e più preparata, dal dott. Centineo - anestesista preparatissimo - al dott. Savona. Dopo avermi illustrato il tipo di intervento cui dovevo essere sottoposto (per il consenso informato) e avere avuto il mio assenso (con l'unica condizione che potessi salutare i miei congiunti , la mia carissima moglie e i miei tre eccezionali figli, la cui assistenza e sostegno morale sono stati fondamentali per il mio recupero, sono stato avviato alla sala operatoria dove, per circa 13 ore, ho lottato con successo con la morte, sostenuto dalla professionalità e dalla competenza di tutta l'equipe. Certamente l'intervento non era stato dei più semplici, in circolazione extra-corporea e a cuore aperto e, quando sono uscito dalla sala operatoria per andare in sala di rianimazione, non costituivo certo un bello spettacolo con tutti i tubi e tubicini che fuoriuscivano o che entravano nel mio corpo, ma, intanto, avevo superato l'intervento, cosa per cui inizialmente mi era stata data una percentuale di riuscita del 20 - 25% L’equipe di Cefalù era composta dal primario Dott. Galardi, dall’aiuto Dott. Maggiore, dal cardiologo Dott.ssa Dispenza, e da un team di infermieri bravissimi e attentissimi. A Cefalù opera una sezione staccata dell'ospedale San Raffaele di Milano, con veri e propri gruppi di esperti, umani e competenti. Ho avuto la fortuna di essere assegnato ad un team che in meno di un mese ha compiuto il miracolo di rimettermi in piedi in perfetta efficienza psico-fisica. Dal 25 settembre sono tornato a casa con la consapevolezza di essere stato davvero fortunato e che, se sono ancora vivo e in buone condizioni generali, debbo essere grato alle competenze ed alle professionalità che ho incontrato nel mio percorso. |
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