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La sordità nel bambino: conseguenze psicologiche e interventi terapeutici | |||
di Angela Ganci - Psicologa psicoterapeuta, mediatrice familiare - email | |||
Si calcola che l'1,5 per mille dei bambini presenti alla nascita un importante deficit uditivo. Questa percentuale raggiunge valori molto più elevati quando si considerano i neonati a rischio per questa patologia, come i prematuri e quelli con patologie della madre. Tale condizione è tra le più invalidanti perché è solo attraverso il linguaggio che possiamo comunicare con gli altri e, quindi, entrare a pieno titolo a far parte della società. Le turbe psicologiche sono collegate a questi deficit: un bambino che non comprende quanto gli viene richiesto e non riesce ad esprimersi è diffidente e chiuso in se stesso, litigioso e violento. Queste situazioni sono spesso aggravate dall'atteggiamento iperprotettivo degli stessi genitori che mira a proteggere il figlio dai suoi limiti, ma che diviene esso stesso un limite alla sua autonomia. Il problema è lievemente diverso dal precedente, ma non per questo meno grave, nel caso di bambini diventati sordi dopo la nascita. Considerato che i primi tre anni di vita sono essenziali per l'apprendimento del linguaggio, un bambino che è riuscito, almeno per un certo periodo, a percepire i suoni, è più avvantaggiato, anche se non per questo meno bisognoso di un buon intervento terapeutico. La condizione indispensabile per un buon recupero del bambino è, infatti, in entrambi i casi, la precoce applicazione di ausili protesici, come la protesi acustica, affiancata dalla terapia logopedica. Ugualmente importante è il sostegno alla famiglia alla quale i docenti e i terapisti dovranno essere sempre vicini in un compito costante di informazione, rassicurazione e collaborazione, in modo che il problema del bambino non diventi un malessere in grado di schiacciare la famiglia, troppo spesso lasciata sola a gestire situazioni difficili. |
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