Le nostre coste, seppur ricche di Storia e di cultura, risente pesantemente dell’inquinamento. Secondo i dati presentati da Legambiente in base alle rilevazioni realizzate da “Goletta verde”, il 60% dei campioni prelevati in molti punti dell’Isola risultano fortemente inquinati. Anche l’Unione europea se n’è accorta e, a breve, potrebbe scattare una procedura d’infrazione. In questo caso, 175 agglomerati urbani siciliani sarebbero coinvolti, evidenziando che la regione italiana avrebbe il maggior numero di “anomalie” riscontrate.
In quest’estate ancora non pienamente esplosa, un problema si presenta a chi ha intenzione di fare il bagno e dove farlo. La scelta non è elevata, poiché l’accesso al mare è ostacolato per un buon tratto della nostra costa. A questo, però, si aggiunge un problema sanitario, poiché oltre alle ostruzioni e alla cementificazione, occorre mettere in conto anche l’inquinamento che in questo degrado resta una costante. Recentemente, Legambiente Sicilia e Goletta verde hanno presentato un rapporto che riporta il risultato dei prelievi realizzati in diversi punti della costa dell’isola. L’obiettivo del monitoraggio di Goletta Verde è d’individuare i punti critici di una regione, analizzando il carico batterico che arriva in mare. Anche nel caso della Sicilia, dunque, l’attenzione è stata focalizzata soprattutto alle foci e in tratti “sospetti” segnalati dai cittadini, attraverso il servizio SOS Goletta. I prelievi e le analisi di Goletta Verde sono stati eseguiti dal laboratorio mobile di Legambiente nei giorni 5, 6, 8 e 9 luglio scorsi. I parametri usati sono microbiologici (enterococchi intestinali, Escherichia coli) e sono considerati come “inquinati” i risultati che superano i valori limite previsti dalla normativa sulle acque di balneazione vigente in Italia (Dlgs 116/2008 e decreto attuativo del 30 marzo 2010). Sono considerati “fortemente inquinati” quelli che superano di più del doppio tali valori. Nel rapporto presentato, si evidenzia che oltre il 60 per cento dei punti analizzati non superano l’esame e 16 prelievi su 26 hanno ottenuto un giudizio di “fortemente inquinato” e “inquinato”. Tale inquinamento può essere di diversa natura (detersivi, olii usati, sversamento di rifiuti organici senza controllo), ma tutti favoriscono la presenza di batteri patogeni o sostanze chimiche. I pesci, ad esempio, nella loro catena alimentare raccolgono e accumulano metalli pesanti, batteri e plastica che può inquinare anche noi una volta pescati. Infatti, una conseguenza gravissima è la diffusione in acque sia dolci sia marine di batteri e di virus (del tifo, della dissenteria, del colera, dell’epatite virale, ecc). L’assorbimento di questi microrganismi patogeni avviene da parte di molluschi destinati all’alimentazione (quali mitili, ostriche e altri lamellibranchi eduli) che sono allevati, spesso, in prossimità di sbocchi di scarichi con conseguente pericolo di gravi epidemie. Inoltre, di frequente sono scaricati detersivi non biodegradabili o contenenti fosfati in acqua, che assai sovente si vedono ricoprire di uno spesso strato schiumoso intere superfici. La loro complessa struttura chimica impedisce l’aggressione e la degradazione dai batteri in composti più semplici o meno nocivi. Tali sostanze artificiali pertanto peggiorano fortemente le caratteristiche fisiche dell’acqua, provocando la scomparsa, tra l’altro, della flora acquatica, del plancton e, con essi, dei componenti di tutta la piramide trofica. Invece, l’olio usato che si recupera alla fine del ciclo di vita dei lubrificanti nei macchinari industriali, nelle automobili, nelle barche e nei mezzi agricoli, agisce creando una patina sottile che impedisce alla flora e alla fauna sottostante di respirare. Ad esempio, quattro chili di olio usato, se versati in mare, inquinano una superficie grande come sei piscine olimpiche. In realtà, seppur persistano evidenti problemi nel sistema depurativo siciliano, i soldi sono disponibili da tempo e sono messi a disposizione dal Fondo di Sviluppo e Coesione per adeguare rete fognaria e gli impianti di depurazione. Tuttavia, il miliardo di euro rischia di andare perduti a causa della mancata progettazione da parte degli enti regionali preposti. L’Unione Europea, del resto, ha nuovamente avviato una procedura di infrazione ai danni dell’Italia per il mancato rispetto della direttiva comunitaria sul trattamento delle acque reflue urbane dopo già due condanne a carico del nostro Paese. L’infrazione, stavolta, coinvolgerebbe addirittura 175 agglomerati urbani siciliani, praticamente la regione italiana con il maggior numero di “anomalie” riscontrate dalla Ue. Questi agglomerati non sono conformi all’art.4 della direttiva in quanto non è stato dimostrato che tutto il carico generato riceve un adeguato trattamento secondario di depurazione. Si tratta di criticità già evidenziate non solo nell’ultimo rapporto dell’Istat (anno 2008), ma anche dalla Corte di Giustizia Europea. Quest’ultima, due anni fa, chiamò in causa ben 57 comuni della regione siciliana, il 52% del totale di comuni italiani, nella condanna per inadempienza sulla Direttiva n. 271 del 1991 relativa all’adeguamento del trattamento reflui urbani. Di questi sono ben 27 gli agglomerati siciliani che ricevettero la condanna più grave, in quanto manchevoli di rete fognarie. Tuttavia, la mancata depurazione è soltanto uno dei problemi che affligge le coste siciliane. Proprio per questo Goletta Verde ha assegnato la “bandiera nera” alla Regione Siciliana per la mancata redazione dei piani di utilizzo del demanio marittimo e per la mancata tutela del patrimonio naturale presente sulle nostre spiagge.
Francesco Sanfilippo
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