Il grano antico, Oro del Mediterraneo

Nessun’altra pianta come il frumento ha influenzato la storia dell’uomo, dal neolitico fino ai giorni nostri, condizionando talmente le sue azioni e segnando profondamente gli eventi che hanno portato all’attuale assetto della geografia sociale e politica di vaste aree del pianeta. Tutte queste convergenze storiche, tra uomo e frumento, si posso intuire nei significati che il primo ha attributo a quest’ultimo, in termini di soddisfazione di necessità primaria per il suo sostentamento materiale, si potrebbe infatti sostenere che: “non ci sarebbe stata storia dell’uomo senza frumento, ne storia del frumento senza l’uomo”.
Diecimila anni fa l’uomo ha iniziato ad addomesticare le piante che gli servivano come sostentamento: nacque così l’agricoltura, una delle prime fu proprio il frumento. La sua importanza per l’evoluzione del genere umano è testimoniata dalle credenze popolari degli antichi popoli che lo ritenevano un dono degli dei. L’illustre botanico Bertolino studiò sulle origini del grano e si sbilanciò a favore dell’origine siciliana, confortato da citazioni nell’Odissea e dal fatto di averlo trovato spontaneamente sull’isola. Dopo l’ultima glaciazione, avvenuta 13.000 anni fa alla fine del paleolitico, la temperatura comincio a elevarsi fino a stabilizzarsi nel continente euroasiatico, determinando una forte emigrazione umana in zone più fertili, vocate all’agricoltura ed in particolare alla coltivazione del grano. L’insediamento interessò una parte molto rigogliosa: “la mezza luna fertile”, questo territorio si estende dalla penisola del Sinai, costeggiando tutto il Mediterraneo. Questa estesa zona presenta una vasta gamma di situazioni metereologiche che sono adatte alla vita di numerose specie vegetali, determinante per l’agricoltura fu la presenza di molte specie spontanee di graminacee, come il grano, che determinò un aumento della popolazione e della sua coltivazione. Esso passò quindi dall’Egitto in Libia e da qui in tutta la costa africana settentrionale, arrivando anche in Sicilia. Nell’Isola, si hanno notizie indirette di coltivazioni di frumento da reperti archeologici datati 7300-6500 a.c dove sono stati trovati paglia e cariossidi carbonizzate. Anche le sacre scritture parlano del grano, basti pensare alla parola “bet-leheni” che vuol dire casa del pane. Anche il mondo dei romani e greci ha parlato del grano, la dea greca Demetra ebbe una figlia da Zeus, Persefone. Persefone da ragazza venne rapita e si dice che Demetra, per la gioia di aver ritrovato sua figlia fece germinare il grano. Demetra fu adottata dai romani con il nome Cerere (da cui il termine cereale). La Sicilia divenne un vero e proprio granaio che i greci sfruttarono dopo aver cacciato i siculi. Nell’antica Roma le città erano formate da grandi masse popolari, gli approvvigionamenti di frumento erano assicurati dalle colonie, in particolare da quelle delle coste mediterranee, che rappresentavano il vero granaio dell’impero. Con l’invasione di queste coste per opera dei vandali, l’impero non poteva più contare sulle scorte di grano e questo segnò un calo demografico, molte terre coltivate a frumento furono abbandonate e nel corso dei secoli si degradarono, perciò finì così il sistema agrario romano e l’uomo entrò cupamente nel medioevo. Fra le varietà di grano coltivate in Sicilia spiccano il Simeto, seguito da specie autoctone e importanti perché antiche come il Russello e la Timilia, che oggi contano un comprensorio di coltivazione in tutta la Sicilia di soli circa 200 ha (ettari). I grani antichi siciliani, sono il patrimonio genetico appartenente alla biodiversità mediterranea e frutto della selezione fatta dai contadini in novemila anni di storia. La loro coltivazione è stata abbandonata per decenni, soppiantata da nuovi grani modificati. Tutto iniziò quando il grano fu nanizzato, poiché c’era la necessità da parte delle industrie chimiche di piazzare il nitrato di ammonio, ma anche delle industrie meccaniche di vendere le nuove macchine per la raccolta della granella. Un altro motivo della causa della scomparsa e abbandono dei grani siciliani è stato quello di togliere il diritto di semina al contadino, diffondendo grani sempre più iperproteici, che il nostro intestino non riesce a digerire, presumibilmente dando così origine alle intolleranze oggi così diffuse. Tuttavia, il motivo principale è stato quello della resa della granella, in quanto i grani antichi producono il 50% in meno rispetto alle varietà moderne, 20 q/he invece di 40-50 q/ha. Anche il suo prezzo sul mercato ne risente, in quanto un chilogrammo di pasta con grano antico siciliano costa 5€ al chilo, mentre 1 kg di pasta con grano moderno costa 90 centesimi, trascurando però il rapporto qualità-prezzo. Le differenze tra i grani siciliani antichi e quelli moderni si riscontrano in diversi settori, in quello botanico e in quello agronomico. Il “Simeto” è una specie moderna introdotta nella nostra cerealicoltura. Si presenta con un’altezza generalmente compresa tra 70-100 cm che facilita la meccanizzazione, evitando i problemi elencati precedentemente con il Russello. Le foglie sono generalmente di colore verde e ricoperte da una peluria biancastra. Le spighe sono molto regolari, a forma di barca e hanno un colore giallo oro. La granella è molto attaccata alle glume, ciò evita dispersioni, come invece accade nel Russello. Infine le cariossidi sono state modificate geneticamente, dandogli una forma perfetta, per evitare intasamenti nel gruppo trebbiante. Il culmo presenta molti internodi vuoti, ed essi sono molto flessibili, questa è un’altra caratteristica che evita problemi durante la meccanizzazione, sia nella trebbiatura sia nel processo d’impallo della paglia.
Francesco Sanfilippo

di Francesco Sanfilippo

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