Per il 37,5% il contagio avviene anche con le zanzare. E il 20% crede che il test dell’HIV serva a sapere quando si è geneticamente predisposti all’Aids. Questi i risultati di un’indagine dell’Università Ca’ Foscari tra i giovani di 6 Regioni. I ricercatori: “La mancanza di informazione regna sovrana: quasi nel 95% dei casi i ragazzi hanno risposto in modo inesatto o hanno dichiarato di non sapere nulla”.
Che cosa sanno gli adolescenti italiani di HIV e AIDS? Poco, secondo uno studio voluto e finanziato dal Ministero della Salute, realizzato dall’Università Ca’ Foscari Venezia per il Ministero della Salute, intervistando oltre 6.000 ragazzi in sei regioni (Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Campania e Sicilia). Su virus, malattia e prevenzione, le conoscenze sono poche e confuse.
Il 37,5% dei ragazzi tra i 14 e i 18 anni intervistati crede che le zanzare trasmettano l’HIV, tuttavia, rispondono, “è raro succeda”. Rispetto a metodi alternativi al profilattico per prevenire il contagio il 38,9% ha risposto “non so”, mentre il 36,5%, tra cui soprattutto ragazze, ritiene pillola e spirale metodi efficaci per scongiurare il pericolo. Su concetti chiave come ‘periodo finestra’, che intercorre tra il contagio e il momento in cui è possibile diagnosticarlo attraverso il test, e ‘periodo di incubazione’, gli adolescenti mostrano le incertezze più gravi, poiché i “non so” sono una larga maggioranza.
Il 20% dei ragazzi crede che il test dell’HIV serva a sapere quando si è geneticamente predisposti all’AIDS, mentre il 16,8% ritiene che una persona sieropositiva non corra il rischio di infettare amici o conoscenti “se è attenta a evitare baci o contatti troppo stretti”. “In materia di rischi nella convivenza con chi è sieropositivo – scrivono i ricercatori nel loro report – la mancanza d’informazione regna sovrana, poiché quasi nel 95% dei casi i ragazzi hanno risposto in modo inesatto o hanno dichiarato di non sapere nulla”. L’indagine svolta non è stata solo un’analisi, bensì una ricerca-azione, poiché, dopo l’indagine stessa, gli studenti hanno potuto scoprire e discutere tutti gli aspetti legati a HIV e AIDS in un’apposita lezione. “Abbiamo riscontrato una grandissima attenzione da parte degli studenti – racconta Alessandro Battistella, ricercatore e autore dello studio – i quali ritengono la scuola il canale di informazione preferito su AIDS e malattie sessualmente trasmissibili, anche se nella quotidianità è Internet il principale strumento di informazione”. Secondo i dati ministeriali, le nuove diagnosi d’infezione da HIV sono circa 4mila l’anno, nella quale diminuisce la proporzione dei tossicodipendenti, ma aumentano i casi attribuibili a trasmissione sessuale. L’informazione e la consapevolezza degli adolescenti sono, dunque, cruciali per tendere all’obiettivo di ridurre drasticamente i nuovi casi. I ricercatori hanno scelto le sei regioni nelle quali somministrare i questionari seguendo tre criteri, la rilevanza epidemiologica della malattia, le differenze nell’organizzazione sociosanitaria e la rappresentatività del territorio nazionale. Guardando ai risultati, si notano differenze tra regione e regione ad esempio nelle fonti di informazione. In Veneto e Toscana dopo la scuola (27-28%) è il medico di famiglia a informare di più, mentre in Sicilia e in Campania dopo la scuola (37-35%) segue la televisione (20-19%). Il Veneto (17%) presenta valori due volte e mezza superiori alla Sicilia (7%) nella propensione all’astinenza sessuale come metodo di prevenzione alternativo al profilattico. L’indagine ha riguardato anche 952 persone rappresentanti della popolazione generale italiana. Il 6,4% ha risposto che una persona sieropositiva “si riconosce perché magra e sciupata”, mentre in realtà non è affatto riconoscibile (60% le risposte corrette). È significativa la scarsa conoscenza sul “periodo finestra” tra contagio e test e sul periodo di incubazione della malattia. I ricercatori hanno incontrato 215 persone immigrate, provenienti da 53 paesi del mondo, con i quali hanno realizzato questionari e focus group. L’indagine ha riscontrato lacune e dubbi significativi. Il 28% crede l’Aids sia una malattia ereditaria, la maggior parte ha dubbi sui veicoli dell’infezione. Infine, un questionario di 30 domande è stato costruito con la collaborazione di rappresentanti della comunità LGBT e sottoposto a 165 persone ad essa appartenenti. Solo il 31% degli LGBT hanno risposto correttamente che gli omosessuali maschi, senza precauzioni, sono più a rischio di contrarre il virus HIV.
Fonte: Ministero della Salute