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Salute-Carcere, un rapporto complesso


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Leggendo i giornali e le interviste si percepisce che la cura dei malati in carcere sia peggiorata, perché si è prodotto un’incertezza e un aumento di addetti alla programmazione e alla gestione di interventi rispetto al personale sanitario effettivo. In ricerche effettuate sulle condizioni di salute dei detenuti, come quella effettuata dai detenuti-redattori della rivista “ristretti orizzonti” interno alla casa di reclusione di Padova, si forniscono dati sconcertanti, agghiaccianti, scioccanti. Questi dati evidenziano esigenze di visibilità (tanto da avere il paradosso, la malattia è la cura) e di bisogni elementari quasi sempre disattesi (privacy, ambiente salubre, partecipazione alle decisioni inerenti il proprio stato di salute, etc.). Quanto sopra riportato porta a formulare la domanda se, in carcere, possiamo parlare di salute oppure di semplice manutenzione di uno stato di sanità meccanico. Su questo incipit, diviene necessario che il riferimento al “Principio di equivalenza delle cure”, sancito dall’Oms, non si esaurisca alla ”equità delle cure”, ma si estenda alla “equità della salute”. Con ciò, si vuole riferire non alla semplice disponibilità di servizi sanitari, quanto alla possibilità che, anche grazie agli stessi, possa essere raggiunto da parte del carcerato un effettivo stato di salute rispondente ai suoi reali bisogni. In quest’ambito s’inserisce la constatazione che più del 50% della popolazione carceraria è in attesa di giudizio, ma sia la struttura penitenziaria sia l’ordinamento penitenziario non sono idonei a gestire tale tipologia di detenuti, se non assimilandoli ai definitivi. Con quanto detto si rende necessario non tanto elencare le patologie e/o le aree critiche d’intervento, ma la ricerca di uno snodo, costituito dalla triade cura-pena-diritti, al fine di favorire la costruzione sociale della salute in carcere. Come progetti-azione si possono ipotizzare, tra gli altri, l’individuazione di competenze necessarie agli operatori sanitari, sia medici che infermieri, al fine di creare un ruolo ben definito all’interno della Medicina Penitenziaria, anche con un’analisi contratti da applicare e con un percorso di carriera. Ciò darebbe la possibilità di effettuare un’analisi comparativa tra i determinanti di salute nella popolazione esterna con quelli della popolazione detenuta, individuando ed implementando profili di cura anche nell’ottica di una analisi dei costi. Inoltre, il riavvicinamento tra carcere e città passa attraverso il riconoscimento del detenuto come persona ed il rispetto della sua dignità. Per questi motivi appare sempre più indispensabile creare un legame tra “dentro” e “fuori” e promuovere un dialogo permanente tra carcere e città che aiuti a contrastare diffidenze e chiusure reciproche. All’interno e all’esterno dell’istituto si realizzano molteplici iniziative, anche molto interessanti, ma spesso poco coordinate, che rispecchiano competenze, motivazioni, risorse e specificità proprie delle associazioni, cooperative operanti intorno al carcere. I detenuti si trovano ad essere oggetto piuttosto che soggetto delle attività di recupero e reinserimento. Per questi motivi e per rendere concreti ed esigibili i diritti dei detenuti, emerge l’esigenza di superare l’attuale approccio emergenziale, privo di sistematicità e di coordinamento in tutte le questioni relative al carcere, attraverso una strategia di integrazione degli interventi e la ricerca di percorsi condivisi. Un simile approccio richiede una nuova prospettiva e una programmazione più coerente con i bisogni e le richieste reali dei cittadini-detenuti. Da progetti d’intervento a carattere prevalentemente assistenziale, ci si propone dunque di creare le condizioni per un esercizio attivo della cittadinanza e le garanzie per la massima equità.
Dario Bellomo

di Dott. Dario Bellomo

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