L’Unione europea è sempre molto attiva per contrastare tutte le forme di abuso che possano colpire minori, donne, immigrati e tutte le persone che si trovino in condizioni di discriminazione e di sfruttamento senza limiti. Tuttavia, l’applicazione delle direttive alla lettera non garantisce sempre efficacia, ma può presentare problemi di applicazione non facili da gestire. È il caso della direttiva 2011/93/Ue sulla lotta all’abuso dei minori, che è stata recepita in Italia attraverso il decreto legislativo 39/2014. Questo decreto prevede che, dal 6 aprile 2014, chiunque usufruisce di una persona per lavorare o fare volontariato con i minori, deve procurarsi il certificato penale su quel soggetto. Tale provvedimento vuole allontanare chi abbia commesso eventuali reati legati allo sfruttamento sessuale dei minori stessi. In questo modo, si vogliono controllare i trascorsi dei soggetti per sincerarsi che non abbiano condanne per i reati previsti in alcuni articoli del codice di procedura penale. Questi articoli riguardano il 600-bis (prostituzione minorile), il 600-ter (pornografia minorile), il 600-quater (pornografia virtuale), il 600-quinquies (turismo sessuale) e il 609-undecies (adescamento dei minorenni). Il casellario giudiziale dei soggetti a contatto con i minori va chiesto al più vicino tribunale di competenza da parte del datore di lavoro. In cambio del versamento di una marca da bollo da 16 euro, un’altra di 3,54 euro se il certificato non è richiesto con urgenza o 7,08 euro se lo è. Se ciò non avviene, il datore rischia una sanzione da 10mila a 15mila euro per il mancato recupero di un certificato, la cui durata è di 6 mesi. Secondo il significato letterale della norma, così, dovrebbero essere interessate molte categorie di lavoratori come il personale di ospedali e dei reparti pediatrici, dei docenti e non docenti nelle scuole, negli asili nido, negli operatori in strutture ricreative, nei centri di soggiorno estivi, ecc. In questo quadro, sembrava che fossero incluse anche le associazioni di volontariato o sportive, cosa che avrebbe interessato 98 mila soggetti, poiché il decreto include in modo non chiaro anche le associazioni. In particolare, l’art. 2 del decreto rileva “Il certificato penale del casellario giudiziale di cui all’articolo 25 deve essere richiesto dal soggetto che intenda impiegare al lavoro una persona per lo svolgimento di attività professionali o attività volontarie organizzate che comportino contatti diretti e regolari con minori, al fine di verificare l’esistenza di condanne per taluno dei reati di cui agli articoli 600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-quinquies e 609-undecies del codice penale, ovvero l’irrogazione di sanzioni interdittive all’esercizio di attività che comportino contatti diretti e regolari con minori”. L’esborso finanziario in questo momento di crisi avrebbe azzoppato non poche associazioni, rendendo difficile la loro attività. Fortunatamente, il Governo è tornato parzialmente indietro di fronte alla marea montante di proteste e critiche da parte del Terzo settore, del Coni e dei Centri di Servizio del Volontariato. Secondo la nota integrativa del Ministero di Grazia e Giustizia uscita il 4 aprile, “ Esse – si ribadisce – valgono soltanto per l’ipotesi in cui si abbia l’instaurazione di un rapporto di lavoro, perché al di fuori di questo ambito non può dirsi che il soggetto, che si avvale dell’opera di terzi, assuma la qualità di “datore di lavoro”. Non è allora rispondente al contenuto precettivo di tali nuove disposizioni l’affermazione per la quale l’obbligo di richiedere il certificato del casellario giudiziale gravi su enti e associazioni di volontariato pur quando intendano avvalersi dell’opera di volontari; costoro, infatti esplicano un’attività che, all’evidenza, resta estranea ai confini del rapporto di lavoro”. Perciò, sia le associazioni di volontariato sia quelle sportive non dovranno versare questi nuovi tributi per i soggetti che svolgono attività di mero volontariato presso società e associazioni sportive dilettantistiche né a coloro i quali percepiscono i compensi di cui all’art. 67, comma 1, lett. m), del TUIR (cosiddetti collaboratori sportivi ex “legge Pescante”).
Francesco Sanfilippo
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