Dopo i ripetuti allarmi sulla carenza dei medici di famiglia, le stime sugli specialisti non fanno prevedere nulla di buono.
Se a far sentire la propria voce nei mesi scorsi erano state le singole società scientifiche, dai cardiologi ai geriatri, preoccupati per la mancanza di ricambio generazionale, i numeri forniti dall’Anaao Assomed mettono in luce come, a passarsela male nel prossimo futuro, saranno ben 10 specialità.
“Per quanto riguarda gli specialisti, nei prossimi cinque anni (2018/2022) usciranno dal Ssn per pensionamento circa 30.000 medici ospedalieri, cui sono da aggiungere ulteriori 5000 specialisti tra universitari e ambulatoriali convenzionati”, spiega Carlo Palermo, vice segretario nazionale Anaao Assomed.
Senza misure correttive, rapide e mirate, potremmo dunque trovarci a dover ‘importare’ pediatri, igienisti, cardiologi e chirurghi.
“Le specialità maggiormente carenti – prevede Palermo – saranno pediatria, chirurgia, ginecologia, medicina interna, cardiologia e ortopedia“. Ma l’elenco è lungo: vi figurano 10 voci.
“In mancanza di sostituzioni, difficili per i vuoti oggettivi, le conseguenze sul sistema delle cure saranno drammatiche – avverte – dalle strutture più periferiche, che avranno grandi difficoltà a reclutare i pochi medici presenti sul mercato.
La soluzione inevitabile sarà la chiusura di numerosi reparti periferici, in particolare punti nascita, se non di interi piccoli ospedali posti in zone disagiate, dove rappresentano l’unico presidio sanitario”, prevede l’esperto.
La carenza di medici specialisti rischia di pesare duramente sull’assistenza sanitaria ai cittadini. “La riduzione del personale potrebbe trascinare un ulteriore calo dei posti letto, fino a 40.000 in meno, portando il rapporto al di sotto del 2,5 per mille abitanti.
Cosa che collocherebbe l’Italia all’ultimo posto in Europa è l’analisi di Carlo Palermo. “Negli ospedali – aggiunge – date le condizioni operative dei reparti di specialità mediche e chirurgiche si dovranno concentrare le attività sui pazienti ricoverati, venendo a mancare il personale e gli orari necessari per mantenere aperte le attività ambulatoriali, diagnostiche e cliniche.
Come ad esempio per i pazienti affetti da patologie croniche in stadio avanzato, in particolare scompenso cardiaco, Bpco con insufficienza respiratoria, insufficienza renale”.
E i Pronto soccorso italiani “potrebbero diventare gironi infernali con pazienti in attesa per giorni di un posto letto che non c’è, in condizioni precarie, insicure e disumane, sperando che una barella sia disponibile”.
Un quadro drammatico. “Basta vedere i Pronto soccorso di medi e grandi ospedali delle nostre città nei periodi di picco epidemiologico invernale e poi immaginare l’operatività di quell’ospedale con un 20-30% in meno di medici, infermieri e posti letto”.
“Sono molti anni che leviamo alta la voce su questo problema, che accomuna ospedali e cliniche universitarie ormai in crisi. I pediatri sono sempre meno, e l’assistenza ai bimbi è a serio rischio”, sostiene Alberto Villani, presidente della Società italiana di pediatria (Sip).
“Non ci sono più orari o turni che tengano. La ‘sofferenza’ è un fatto oggettivo, e dobbiamo pensare che si tratta di specialisti che assistono neonati, bimbi malati di tumore come nel caso dell’oncologia pediatrica”.
Redazione