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La piastropenia immune, quando le nostre piastrine diventano un bersaglio


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La Piastropenia immune è una malattia rara né contagiosa, né ereditaria, ma può danneggiare il nostro organismo, distruggendo le piastrine.

La piastrinopenia immune, di solito abbreviata con la sigla ITP dall’inglese “Immune ThrombocytoPenia” colpisce le piastrine, distruggendole, ed è una malattia autoimmune che insorge per cause che non si conosce, ma che si può trattare.

La quantità di piastrine circolanti, che, in genere, oscilla in media fra le 150 mila e le 400 mila per microlitro di sangue, è largamente esuberante rispetto alle nostre reali necessità.

Ciò è dovuto alla necessità di superare, dal punto di vista evolutivo, alle numerose ferite che colpiscono l’uomo, fecendolo sopravvivere alle asperità della vita per milioni di anni senza il valido supporto di farmaci e medici chirurghi.

Infatti, l’eccesso di piastrine favorisce il recupero delle ferite, consentendo una rapida cicatrizzazione. La vita dei nostri antenati, dagli uomini preistorici fino al secolo scorso, è sempre stata costellata di eventi che hanno messo a dura prova il nostro sistema emostatico, cioè l’insieme funzionale di fattori della coagulazione e piastrine.

Si possono annoverare incidenti di caccia, ferite da guerra, traumi secondari ad attività manuali, spesso assai gravose, che sono stati fonte di emorragie che l’emostasi ha efficacemente controllato.

Infatti, in caso di necessità, servono ad arrestare un’emorragia, sia essa causata da un trauma accidentale o in corso di un intervento chirurgico oppure secondaria a una condizione patologica, come può essere la presenza di un’ulcera a livello dello stomaco.

Le principali manifestazioni cliniche dell’Itp sono intrinsecamente legate alla riduzione delle piastrine circolanti al di sotto di una soglia critica, cui spesso, ma non sempre, corrisponde la comparsa di manifestazioni emorragiche più o meno rilevanti.

In realtà, livelli piastrinici intorno alle 50 mila – quindi ben al di sotto delle 150-400 mila – garantiscono una vita “normale” e attiva e sono sufficienti ad affrontare la maggior parte degli interventi chirurgici e il parto senza alcun rischio emorragico aggiuntivo.

Questo spiega anche perché la maggior parte dei soggetti affetti da Itp non manifesta emorragie e perché, una volta posta la diagnosi di Itp, non sia sempre necessario iniziare una terapia specifica.

Il fatto di non poter stabilire con precisione il momento di insorgenza della malattia non ha però alcuna ripercussione clinica e, in particolare, non condiziona la prognosi di chi ne è affetto: nel caso dell’Itp, contrariamente ad altre malattie,  il “fattore tempo” non è determinante ai fini della prognosi e della risposta al trattamento.

Una volta posta la diagnosi di Itp, vengono distinte 3 fasi di malattia sulla base della durata della piastrinopenia.

La prima definisce l’Itp di nuova diagnosi: fa riferimento ai primi tre mesi dalla diagnosi, la seconda è l’Itp persistente: nel caso in cui la piastrinopenia, più o meno pronunciata, persista nell’arco dei successivi 3-12 mesi dalla diagnosi, mentre l’ultima è l’Itp cronica, quando viene superato l’anno dalla diagnosi.

In Italia, non esiste un registro di questa patologia che sarà disponibile dal 2019, ma secondo alcune stime dell’Aipit vi sarebbero 12 mila casi in tutto il Paese.

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