MEDICI DI FAMIGLIA – I medici di famiglia si stanno sparendo e tra sette anni, un italiano su tre potrebbe restare senza medico di base. In Piemonte, ad esempio, nei prossimi sette anni lasceranno lo studio 1173 medici di famiglia, in Lombardia 2776, in Veneto 1600, in Liguria 527.
Come si sta arrivando a questo?
Il ruolo del medico di base è stato ridotto nell’esercizio delle sue funzioni dalle riforme intervenute negli ultimi decenni. Una mano, in questo senso, l’hanno data le scoperte scientifiche e farmaceutiche che hanno permesso di immettere sul mercato medicine e strumenti indubbiamente efficaci ma che hanno diminuito la centralità del medico.
Quelli in servizio, inoltre, dopo aver maturato i 35 anni di contributi, preferiscono andarsene in pensione piuttosto che continuare, senza che i loro sostituti giovani siano in numero sufficiente a sostituirli, indipendentemente dal loro valore.
La media è di quattro medici di famiglia che vanno in pensione contro un solo collega che li sostituisce.
Infatti, l’Università prepara circa 900 medici di base selezionati attraverso il numero chiuso, che, però, è superato ampiamente dal numero di anziani colleghi che si ritirano.
Ciò porta i pazienti a trasferirsi in quelli in attività, saturandoli, come dimostrano le lunghe attese negli ambulatori.
In realtà, alla base ci sarebbero due problemi, uno gestionale e uno di retribuzione.
A elargire le borse di studio ai giovani specializzandi della medicina di famiglia per accedere alla professione, sono le Regioni, la cui priorità è di risparmiare ovunque.
La formazione dei giovani specialisti la fa l’università, che distribuisce i generosi finanziamenti in una miriade di cattedre.
Inoltre, sta prevalendo la tendenza a creare un nuovo modello di assistenza sanitaria.
In questo modello, il primo punto di contatto per il cittadino sul territorio non sarebbero più i medici di base ma infermieri e tecnici della riabilitazione, supportati da équipe mediche pronte a intervenire alla bisogna.
Lo scopo è di realizzare un sistema flessibile che si crede possa far limitare le prescrizioni e, quindi, produrre risparmi. In questo geniale schema, però, ci sono due obiezioni che sarebbe disastroso ignorare.
La prima è che il medico di base resta un presidio sanitario territoriale capillare che registra e interviene in caso di emergenze sanitarie.
Inoltre, la sua conoscenza del territorio e dei suoi abitanti è indispensabile per tenere il polso della situazione sanitaria.
Masse di pazienti senza punti di riferimento intaserebbero comunque gli ospedali, proprio quel tipo di risultato che negli ultimi anni è stato combattuto dallo stesso Ministero.
Il modello in gestazione dovrebbe responsabilizzare i cittadini per renderli in grado di provvedere alle emergenze da sé, poiché l’arrivo dei soccorsi richiede comunque tempo, ma si dovrebbe cambiare in profondità l’attuale sistema.
Francesco Sanfilippo