Parliamone per una volta, analizzando alcune informazioni del 1964, quando si parlava di diabete come diabete magro e diabete grasso.
Ovvio che oggi mi scappa da ridere nel leggere certe definizioni ma nonostante ciò continuo la lettura del malloppo enciclopedico datato “64”.
La letteratura di quel tempo trattava anche statistiche del 1900-1914, dove la durata media della malattia dalla scoperta al decesso era di 4,6 anni. Invece, nel periodo 1956-1957 la durata media della malattia ha raggiunto i 18,2 anni e questo limite era sempre in via di miglioramento.
I diabetici magri giovani prima della scoperta dell’insulina morivano quasi sistematicamente in coma tanto che rappresentava la causa di morte nel 41,5% dei casi.
Dopo la scoperta dell’insulina e la sua utilizzazione, il coma non rappresenta che 1% delle cause di morte. Allora, di cosa muore un diabetico? In genere non di diabete ma frequentemente delle sue complicazioni.
Ecco cari lettori che già nel 64 si capì l’importanza della prevenzione alle complicazioni, tanto che descrivono così la loro terapia:
“l’opportuna combinazione della dieta con questi farmaci e se necessario con l’insulina, viene praticamente sempre a compensare il diabete grasso, alla terapia tracciata va aggiunto un ragionevole esercizio fisico, proprio per ottenere questo sono stati organizzati in Francia in centri di villeggiatura istituiti dove bambini e i giovani diabetici vanno a passare le vacanze perfettamente seguiti e controllati dal punto di vista igienico-sanitario ed i risultati ottenuti pare siano veramente brillanti”.
Queste ultime righe testimoniano una prova tangibile ed inoppugnabile che l’esercizio fisico è una delle soluzioni per il benessere giornaliero.
Ecco che vi riportiamo qui sotto un’altra testimonianza del 1964: “L’avvenire di un diabetico e in gran parte nelle sue mani, se egli è scrupoloso e assiduo nel seguire la terapia consigliata può ragionevolmente sperare di avere davanti a sé una vita praticamente normale, in caso contrario se egli trascura queste norme fondamentali i guai non tarderanno a presentarsi”. Bisogna riflettere e far riflettere tutti pazienti e non perché ciò che si vede e che si sente fa preoccupare i pazienti che non sanno gestirsi ma perché si faranno gestire da un’elettronica priva di quelle sensazioni umane che ci differenziano. Come dice un mio amico alpinista diabetico: “il diabete pretende rispetto se vuoi che ti rispetti”.
Un rispetto che non conosce orari, un rispetto eterno così sembra. Oggi, nel parlare di diabete dobbiamo escludere dal linguaggio dialettico la parola “nichilismo” che si presenta sempre molto spadroneggiante in compagnia delle nuove tecnologie che prenderanno il posto dei cervelli.
Un futuro dunque più comodo rispetto agli amici e fratelli diabetici magri e grassi del 1964, non ci sono dubbi su questo! Speriamo solamente che tutta questa tecnologia non anestetizzi le coscienze.
Di quest’ultima saranno tutti pronti?
Tutti favorevoli? Non lo possiamo sapere, ma spero che alla stessa velocità portino avanti politiche sociali per i lavoratori con diabete perché su questo frangente siamo davvero fermi nel 1964.
A questo proposito, si ricorda alle associazioni e federazioni varie che non si può parlare di equità sociale se non si parte dal lavoro!
Damiano Iulio