Medicine in ancient Egypt

La medicina e l’arte al tempo degli Egizi

Verso il 2.900 a.C. con la terza dinastia, si consolida l’Antico Impero formato da diverse città-stato dell’Alto e Basso Egitto, che risalgono fino all’epoca preistorica. Il vecchio Impero riunisce ormai tutto il grande Egitto costituito da immensi deserti e dalla vallata del Nilo, fertilissima, che si estende per oltre 850 chilometri. Durante il lungo corso di 3000 anni della sua storia vi si può a malapena scorgere una evoluzione. Quando nel mondo greco, il medico dell’epoca ippocratica esercitava la sua personale riflessione sulle cause della malattia e si sforzava di individuarne la cura, i sette papiri medici contenenti circa 200 testi che ci sono pervenuti, ci offrono l’immagine di una medicina in parte legata alla magia e alla religione, ed in parte empirica e razionale. Le rigide istruzioni che la caratterizzavano, imponendo determinate diagnosi e prescrizioni, privano il medico egizio di eventuali iniziative personali. La formazione medica egizia, in parte molto specializzata, doveva purtuttavia, essere ottima. Ed Erodoto che aveva visitato l’Egitto in lungo e in largo, dichiarava già nel V secolo a.C. che il paese del Nilo era la terra più sana, più fornita di medici in grado di curare malattie degli occhi, della testa, dei denti, dell’addome o di altri organi interni. In un bassorilievo è rappresentato il medico Nebacom (equivalente all’archiatra pontificio odierno n.d.r.), ritto alla sinistra del monarca vestito di bianco, assiso su una sedia, gli tende un grande vaso contenente una pozione che sta versando da una bottiglia. Altre numerose opere d’arte egiziana eseguite ad affresco ci offrono una documentazione preziosa sulla storia della medicina nel paese dei Faraoni, documenti a volte più preziosi degli stessi papiri, i quali si limitano a riportare i dogmi dei medici conservatori. L’esame accurato di migliaia di raffigurazioni che ornano le tombe, e che avevano come scopo l’illustrazione dei meriti del defunto, ci ha rivelato ad esempio, che gli operai alle dipendenze dello Stato per costruire i grandi templi, le Piramidi ed altri monumenti fastosi, erano oggetto di cure mediche. Ciò è in contraddizione col Vecchio Testamento, secondo il quale gli operai sarebbero stati maltrattati, percossi a morte (una sorta di INAIL di quel tempo con le basi del futuro sindacato dei tempi odierni). Su una pittura murale che risale a circa il 1435 a.C. si può scorgere un operaio vittima di un infortunio sul lavoro e che giace nudo in un atteggiamento doloroso mentre riceve le cure di “ un medico dell’impresa” rivestito solamente di un perizoma (figura analoga all’attuale medico del Lavoro o di Pronto Soccorso). Risulta, inoltre, da numerosi documenti, che i lavoratori godevano di una specie di domenica o giorno festivo ad intervalli regolari, prima di intraprendere il lavoro, mentre i nuovi assunti erano sottoposti a visita medica (medicina preventiva). Per gli Egizi il cuore rappresentava la sede e l’organo essenziale della vita e non soltanto in quanto motore dei processi vitali corporei, ma anche in quanto centro e fonte dello spirito, dell’anima, della ragione e della potenza. In considerazione dell’importanza attribuita al cuore dagli Egizi, non bisogna dunque stupirsi se al momento della mummificazione, lo si metteva da parte con altre viscere, in canopi (vaso funerario con il coperchio a forma di testa umana n.d.r.) , che come i sarcofagi venivano decorati con un ritratto del defunto. Per gli Egizi il cuore è il testimone incorruttibile della condotta morale dell’essere, cosi come collocato sulla bilancia delle anime dopo la morte dell’individuo, è proprio il cuore che permetterà di giudicare imparzialmente il defunto. Nel giudizio degli estinti, è Anubi il dio cinocefalo (che ha la testa di cane n.d.r.) della morte che guidava il defunto innanzi alla bilancia. Su uno dei piatti della bilancia si trovava il suo cuore e sull’altro una piuma che simboleggia la verità.
Anubi effettuava la pesatura sotto la sorveglianza di Thot, dio dalla testa di Ibis che segnava i risultati e sotto l’egida della dea Maat il cui attributo della verità era rappresentato da una piuma simile a quella posta sul piatto della bilancia. Se l’ago pendeva a favore del defunto, questi veniva divorato dall’animale macabro che si scorge in un documento nell’atto di guatar la preda durante l’operazione. In caso contrario Horus il dio dalla testa di falco lo conduceva dinanzi a suo padre, Osiride, che l’accoglieva nel regno dei morti. Osiride viene, quindi, rappresentato in tutto lo sfarzo faraonico della sua potenza, con la doppia corona, il pastorale (che doveva divenire in seguito il simbolo episcopale cristiano) e la verga. La precisione sorprendente degli affreschi che rappresentano avvenimenti medici e la perfetta correlazione di questi ultimi con le constatazioni che si possono dedurre dalle mummie, risultano di capitale importanza. Numerosi indizi stanno a dimostrare che l’arte della diagnosi era straordinariamente sviluppata e soprattutto che i diversi sintomi patologici venivano già considerati nel loro complesso e nelle loro correlazioni. Tutto ciò avveniva al termine di un’evoluzione scientifica che si era manifestata già in tutta la zona mesopotamica, ma che si era perfezionata in Egitto.
Ad esempio, sappiamo che alcune mummie portano le stigmate evidenti di una carie vertebrale di origine tubercolare (tubercolosi ossea n.d.r.). Esistono altri esempi nel campo delle affezioni ortopediche. Una mummia reale mostra un piede deforme tipico (piede varo-equino conseguente a poliomielite). Anche i casi di obesità o di magrezza estrema nell’antico Egitto ci sono tramandate dall’arte plastica realista praticata in quell’epoca. La ginecologia e l’ostetricia rivestivano pure una parte importantissima nell’antico Egitto. I papiri medici lo comprovano, poiché prescrivono per le malattie femminili diversi preparati o diverse pratiche mediche, dal tampone vaginale al bagno di vapore. Definiscono, poi, un metodo di diagnosi della gravidanza che sarà seguito in Occidente fino al Medio Evo. Il metodo si praticava in questo modo, si riempivano due sacchetti, uno di frumento l’altro di farro che venivano poi bagnati con l’urina della donna da esaminare. Se il frumento spuntava prima si presagiva che il neonato sarebbe nato maschio, mentre se era il farro a germogliare per primo, avrebbe visto la luce una femmina! Per quel che riguarda la circoncisione un bassorilievo ben conservato della necropoli di Sakkara (sesta dinastia) ci offre una relazione molto precisa di questa operazione. Il medico è accosciato dinnanzi al giovinetto da circoncidere, mentre un infermiere ne immobilizza le mani sul dorso (nessun accenno all’anestesia e all’emostasi…. n.d.r.). Nella cultura egiziana antica l’arte rimane dunque uno strumento prezioso e indispensabile. Senza di essa, noi non potremmo comprendere la medicina e le idee che si concepivano sulla costituzione psicofisica e sulla malattia nel paese del Nilo. Malgrado il suo rigore cerimoniale, l’arte può perfino fornirci indicazioni precise sulle stigmate patologiche. Ci mostra infine, come gli artisti egiziani, anche se possedevano una predilezione marcata per la rappresentazione grandiosa ed eroica, possedevano pure il senso del reale e quello dell’osservazione di quanto concerneva la medicina, disciplina sin da allora tenuta in grande stima.

Dott. Ennio Sacco
Medico-chirurgo

di Dott. Ennio Sacco - Medico-Chirurgo

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