Oggi, la moderna ricerca scientifica e tecnologica garantisce controlli sempre più efficaci e meno ingombranti del proprio diabete, permettendo un’autonomia molto più grande rispetto al passato.
In questo contesto, esiste, poi, un modello ideale di associazione che permetta alla persona con diabete di esprimere le sue potenzialità e di migliorare sotto ogni punto di vista o quasi, purché ben guidata? Ogni modello ha i suoi pro e i suoi contro, ma proprio per questo associazioni di diversa natura ma tutte convergenti verso i medesimi scopi, possono essere una soluzione globale alle diverse problematiche. Ha senso, allora, costituire un’associazione di pazienti, quando si hanno strumenti che permettono, in teoria, di farne a meno? Il compito dell’associazione e dei suoi membri è di favorire l’autonomia del paziente nei confronti del diabete, non dello specialista. L’informazione che può trasmettere usando i moderni sistemi comunicativi, aiuta non poco il paziente a non sentirsi solo e a trovare spiegazioni e consigli utili nella gestione della sua malattia.
La solidarietà che si sviluppa tra pazienti, spesso con decenni di diabete alle spalle, è una potente medicina per trovare coraggio e fiducia in se stessi e nel prossimo.
La formazione e il soggiorno formativo, in collaborazione con gli specialisti, costituiscono un potente viatico per aumentare l’autostima e la fiducia in se stessi, purché le formule adottate siano adattate all’età dei partecipanti. L’autonomia, quindi, è un aspetto vincente nella cura del paziente cronico, ma che vuol dire autonomia o Empowerment?
Certamente, non vuol dire far a meno dello specialista, o presumere di curarsi efficacemente da soli, ma vuol dire sviluppare un proprio modo di affrontare la propria patologia cronica senza dimenticarsi dello specialista. Quest’ultimo non trova un paziente sempre impreparato, ma uno progressivamente consapevole che arriva ad accumulare tanta esperienza da divenire egli stesso una guida per i medici alle prime armi.
Un simile paziente non può essere trattato da sprovveduto, ma necessariamente occorre stabilire un rapporto diverso con lui, dove la fiducia e il rispetto reciproco diventano d’obbligo per non fallire entrambi.
La dipendenza è nociva per entrambi, per il paziente che vedrà posposta la sua maturità e per lo specialista che inevitabilmente perde il paziente stesso.
Tuttavia, esiste un’altra esigenza, oggi, sempre più preminente, la diminuzione dell’alto costo delle cure che il paziente con diabete impone, suo malgrado, ai conti sanitari.
Un paziente consapevole e autonomo (ma non indipendente dal medico) ha meno necessità di attenzioni del suo omologo scompensato, perché è in grado di regolarsi per bene più a lungo, diminuendo la necessità di assistenza. L’associazione è l’ente deputato per favorire questo dialogo, poiché paradossalmente questo processo matura entrambi, evitando contrapposizioni e invasioni di campo.
Francesco Sanfilippo