In altro articolo si tratterà delle nevrosi in generale, mentre in questo si parlerà soprattutto sulla nevrosi di più comune riscontro, la nevrosi d’ansia. La nevrosi d’ansia, ampiamente rappresentata ai nostri tempi, può considerarsi un quadro psicopatologico di base che può rimanere tale o che può evolvere, per un insieme di sistemi nevrotici difensivi più strutturati, in altre sindromi nevrotiche più sistemiche. Nella nevrosi d’ansia, infatti, i meccanismi di difesa risultano poco elaborati e l’ansia domina l’individuo sotto forma di stato permanente di inquietudine, di timore e di minaccia incombente legato a propria inadeguatezza ed insicurezza. Il nevrotico è, insomma, perplesso, incerto della propria identità, sfiduciato, pessimista, indeciso e vittima di un sentimento d’inferiorità. Egli dipende dagli altri, ma è nello stesso tempo esigente, causa il carattere immaturo della sua personalità a volte narcisistica, aggressiva, egoista e poco tollerante a subire frustrazioni. Quanto detto condiziona molto le scelte essenziali di vita quali rapporti sociali, professione e matrimonio. Tutto è sempre dominato, anche se inconsciamente, da un indispensabile bisogno di rassicurazione e di amore. Facilmente in questi soggetti si evidenziano turbe emotive, inquietudine, agitazione, stanchezza, disturbi del sonno, disturbi sessuali. A volte tali disturbi possono accentuarsi a tal punto da divenire vere e proprie crisi di terrore e di smarrimento che possono associarsi a numerosi sintomi. Questi ultimi sono la dispnea (difficoltà respiratoria), le palpitazioni, i dolori precordiali (retrosternali), il vomito, la diarrea, il frequente bisogno di urinare, i tremori, la sudorazione, il mal di testa e persino lo stato vertiginoso e le lipotimie (sensazione d’improvvisa debolezza con parziale perdita di coscienza). Le scelte importanti, le responsabilità, la complessa gestione del proprio tempo lavorativo, la scarsità di tempo da dedicare a se stesso possono condizionare il decorso e la gravità di tale nevrosi. Tale patologia può, inoltre, anche migliorare spontaneamente con scomparsa dei sintomi più appariscenti, o strutturarsi in quadri più complessi quali le nevrosi fobiche o ipocondriache (di cui si parlerà in altra trattazione). Ovvero può precipitare in un vero e proprio stato depressivo–nevrotico gravemente influente e limitante l’attività socio-economica del paziente. Sul piano terapeutico, può essere utile un limitato uso di farmaci antiansia e antinsonnia sapientemente prescritti dallo specialista. A tal proposito, mi preme evidenziare anche l’importanza che ha un’organizzazione cosciente dell’esistenza più confacente ai limiti della propria personalità. Ribadendo con forza quest’ultima riflessione, infine, mi è sembrato coerente con quanto esposto concludere, ricordando la poesia “ Ode alla vita” della scrittrice brasiliana Martha Madeiros: “Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi. Chi non cambia la marcia, chi non rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce. Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle “i” piuttosto che un insieme di emozioni, proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti all’errore e ai sentimenti. Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul lavoro, chi non rischia la certezza per l’incertezza per inseguire un sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati. Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso.
Muore lentamente chi distrugge l’amor proprio, chi non si lascia aiutare; chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante. Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce. Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare. Soltanto l’ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità”.
Dott. G. Giardina
Dirigente Chirurgo Emerito
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