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Fare associazionismo nel diabete, un grande impegno morale

Fare associazione, oggi, con le persone con diabete necessita di un grande impegno, culturale, fisico e morale. Proprio perché fare associazione non vuole dire solo riunire sotto lo stesso tetto tante persone, ma coglierne ogni singola “vibrazione”. Per vibrazioni s’intende dire parole che possono significare richieste di scoperta o di azione. Ogni attività, da quella educazionale e quella fisica come gli sport oggi tanto di moda per la loro efficacia nel piano di trattamento della malattia del diabete, debbono trovare il giusto spazio per uno sfogo più che giustificato. Le associazioni dei pazienti sono una risorsa se fanno un “associazionismo di qualità” senza altri scopi, ma con il solo intento di migliorare la vita del socio stesso. La visione del paziente, oggi, è più attenta che mai nel cercare di coglierne ogni lato positivo, ma, oggi, galleggia nell’aria un ignoranza che mette a dura prova un intera categoria che va dallo scolaro al pensionato, nessuno escluso! Ed proprio qui che le associazioni sono per noi una corda alla quale aggrapparci per non cadere nel precipizio del buio dell’ignoranza, dove abitano i cosiddetti contenitori dell’inutile. Un socio ricerca nell’associazione un dialogo meno formale, così che possa essere compreso in maniera esaustiva. Un grosso lavoro è già stato fatto dalle associazioni in Italia e possiamo ritenerci fortunati ma serve anche una ventata di giovane democrazia per cogliere appieno le mille possibilità dal volto “Giovane”. Ci sono una pluralità di idee che necessitano di trovare terra fertile, nella quale crescere senza spine ma con molte accortezze. Io continuo a sognare un’associazione che possa sedersi col sindacato, che parli di doveri e diritti, che con un accordo faccia nascere una nuova sigla sindacale per i lavoratori con diabete. È dal lavoro che bisogna partire, come del resto tutti i giorni suona la sveglia, per recarci al lavoro magari tanto ambito oppure inaspettato per alcuni. Potremmo continuare con la lista delle sensazioni all’infinito, ma di una cosa possiamo essere certi come la verità.
Quando la si ha in tasca sembra essere sempre poco comoda perché la “verita” sembra voglia apparire, farsi notare un po’ come fa la neve, appoggiarsi su tutti, ricchi e poveri fortunati e non per poi sparire e ritornare.
La verità è che non si vive per lavorare ma si lavora per vivere dignitosamente, per questo il lavoro deve e può diventare oggetto primario di un dibattito senza esclusioni per noi diversamente glicemici.

Damiano Iulio

di Redazione

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