Quali criticità colpiscono un’associazione oggi? Il primo sta nel suo gruppo fondatore, poiché l’entusiasmo, da solo, non compensa l’ignoranza delle leggi, la carenza di comunicazione interna ed esterna, inadeguatezza degli obiettivi e una cattiva organizzazione interna.
Tutti questi aspetti negativi possono costituire delle tare in grado di mandare a monte il lavoro svolto e i sacrifici fatti. Una buona organizzazione interna, dove tutti gli elementi essenziali per il suo funzionamento condividono la stessa visione e dove ciascun ruolo è ben definito, è garanzia di una buona riuscita.
Al contrario, senza questa disposizione, l’insuccesso è garantito. Questi elementi non possono essere sottovalutati, perché costituiscono altrettanti nodi da sciogliere, pena il fallimento dell’esperimento associativo. La seconda criticità sta nella capacità dell’associazione di fare rete con altre realtà associative, sia che abbiano la stessa natura, sia che siano di differente natura. Mettere in comune le risorse e superare le diffidenze, facendo convergere gli interessi, costituiscono un’ottima strategia per realizzare i propri obiettivi, impiegando le risorse umane, materiali e finanziarie a disposizione. Tuttavia, anni di contrapposizioni e di distanze dovute, molto spesso, a contrasti personali, più raramente ideologiche (che pure non mancano), rendono quest’opzione complessa da realizzare, seppur i risultati finali siano spesso più che positivi.
La quarta riguarda il fenomeno dell’esaurimento (burn out) per cui i volontari o i soci attivi, non supportati o curati come meriterebbero, si demotivano e perdono il gusto dell’impegno altruistico. Ciò accade spesso, perché si tende a non valorizzarne gli sforzi o a lasciarli soli, mentre l’impegno sul campo diviene oneroso da più punti di vista. A quest’aspetto contribuisce una quinta criticità che è data dal contesto socio-economico difficile nel quale la società è ridotta.
L’assenza di lavoro e di supporti all’attività lavorativa rende difficile la permanenza del volontario all’interno dell’associazione, in particolare quando è giovane. Sottovalutare quest’aspetto è un buon modo per disperdere risorse umane qualificate e per sperperare investimenti di tempo e di denaro da parte dell’ente.
Ciò pone una criticità indiretta all’associazione, poiché se non può per sua natura giuridica e strutturale dare lavoro ai suoi soci, non può riuscire a tenere i suoi volontari così faticosamente preparati. Tale situazione si può risolvere, in parte, favorendo indirettamente una formazione rivolta ad un doppio uso, professionale e associativo, per il volontario. Al contempo, si può attivare una rete che metta in relazione enti di natura diversa che permettano il trattenimento dei volontari stessi o che ne favoriscano le condizioni lavorative. Detto questo, la situazione, però, resta critica, poiché le associazioni non possono contare che sui pochi che fanno molto per tanti, ma anche i volontari o i soci attivi hanno dei limiti. Qui incappiamo nella sesta criticità, lo scarso ricambio generazionale, cui si somma un difetto di democraticità interna.
L’assenza di una politica di affiliazione costante dei giovani rende stantia e poco duttile l’associazione. Mi spiego meglio: i giovani sono portatori di novità, mentre le persone più mature sono meno reattive, in genere, perché hanno accumulato esperienza, timori, delusioni. Hanno creato sistemi per filtrare queste novità, senza respingerle ove non fosse necessario. Finché questo rapporto senior ancora motivato-novizio entusiasta e voglioso di apprendere perdura, l’associazione non può che ricavarne benefici.
Tuttavia, se alla prudenza subentrano la diffidenza e la perdita di elasticità, allora il rapporto sopradetto cede e il giovane tenderà a lasciare l’ente. Rimasta sola, la classe dirigente invecchia e si richiude in se stessa, perdendo a sua volta il contatto con la realtà e con le novità. Per superare questo destino, occorre stabilire un rapporto continuo tra giovani e meno giovani, dove questi ultimi lasciano gli spazi dovuti ai primi, guidandoli, ma mai sostituendoli, in particolare se sbagliano, perché sbagliando, s’impara.
Ciò inserisce un problema che si è aggiunto ad altri vissuti dalle associazioni. Il socio o il volontario che si sacrificava per la causa in cui credeva, senza nulla pretendere e rimettendoci di tasca propria se necessario, è una razza in estinzione. Nel frattempo, i compiti richiesti per continuare a operare sono aumentati e richiedono competenze, prima non necessarie, in campo giuridico, economico e sociale. I volontari non bastano più, perché l’esigenza di sistemarsi è ineluttabile e senza lavoro ciò non accade. Perciò, le dirigenze delle associazioni non possono continuare, da parte loro, ad essere chiuse e hanno l’obbligo di ampliare le proprie fila e di formare in modo specifico i propri aderenti per non sparire. Può sembrare un concetto forte, ma la realtà sta superando rapidamente le previsioni.
Francesco Sanfilippo