In un mondo sempre più attento al cibo, si moltiplica a dismisura il popolo dei presunti ‘allergici’ a qualche alimento. Persone che, dopo essersi sottoposti a diffusissimi ma a volte ‘fantasiosi’ test, hanno rinunciato a uno o più cibi. Ma se i veri allergici sono oltre 2 milioni, fra cui 600 mila bambini, e gli intolleranti al lattosio, al nichel o ad altre sostanze sono complessivamente non oltre 10 milioni, a questi si aggiungono però circa 8 milioni di persone perfettamente sane che, per un condizionamento psicologico e per suggestione, imputano un malessere a qualche cibo. A fare i conti sono gli esperti della Società italiana di allergologia, asma e immunologia clinica (Siaaic). Moltissimi italiani dunque, a torto o a ragione, spendono centinaia di euro in test non validati con i criteri della medicina basata sulle evidenze, e che dunque hanno la stessa attendibilità del lancio di una monetina: “ogni anno sono 3-4 milioni gli esami inutili eseguiti per diagnosticare ipotetiche intolleranze e allergie, con uno spreco di ben 300 milioni di euro. Il ricorso a test come quelli del capello o della forza muscolare, privi di fondamento scientifico, cresce al ritmo del 10% all’anno e rischia di non far individuare i veri pazienti”. Per arginare il fenomeno e indicare cosa fare se si sospetta un’allergia, in occasione di Expo Milano 2015 la Siaaic presenta le prime linee guida per l’interpretazione diagnostica dei test validati, dedicate ai medici e in corso di pubblicazione su ‘Clinical Molecular Allergy’.
Mettendo al bando gli esami più ‘fantasiosi’, Siaaic offre inoltre ai cittadini un nuovo vademecum, utile per capire come riconoscere una reale ipersensibilità e non cadere nelle costose trappole dei test inutili, e ai ristoratori un documento-guida, perché possano accogliere senza rischi i clienti allergici. “Purtroppo le intolleranze alimentari, confuse per di più dalla maggioranza con le allergie vere e proprie, sono ormai una moda con cui si spiegano i sintomi più disparati: chi non riesce a dimagrire spesso si convince che sia per colpa di un’intolleranza, mentre nessuna di quelle reali può far ingrassare – osserva G. Walter Canonica, presidente Siaaic – Orticaria acuta, sintomi gastrointestinali e anafilassi sono i segni distintivi delle allergie, ma oggi basta avere una stanchezza inspiegabile, qualche difficoltà digestiva, mal di testa, dolori alle articolazioni o altri disturbi aspecifici e non facilmente inquadrabili per autodiagnosticarsi un’intolleranza alimentare prendendo di mira un cibo quasi a caso”.
I danni sono molteplici: se da un lato “si spendono centinaia di euro per sottoporsi a esami senza alcuna corretta validazione scientifica che hanno un costo variabile dai 90 ai 400-500 euro, proposti ampiamente attraverso i più diversi canali di vendita, dall’altro esiste anche il rischio di sottovalutare condizioni cliniche reali come un’eventuale vera allergia o una celiachia. Ne deriva che il processo diagnostico deve essere rigoroso, secondo un iter ben preciso che non può essere improvvisato”, aggiunge Canonica.
Gli esperti, mettendo al bando esami come il Vega test, il test della forza e del capello e la biorisonanza, sottolineano l’inaffidabilità di esami ‘alternativi’, che in 9 casi su 10 danno un verdetto positivo per dare al paziente l’illusione di una diagnosi, ma che in realtà hanno la stessa affidabilità del lancio di una monetina. Per aiutare i medici nell’interpretazione dei test validati e consentire anche chi non è uno specialista allergologo di indicare al proprio paziente i passi giusti da fare, dove farli e a chi rivolgersi per i test, gli esperti hanno appena pubblicato le linee guida per la diagnosi delle allergie alimentari.
“Le metodiche diagnostiche attuali sono molto raffinate e ci consentono, nel caso delle allergie alimentari, di individuare con precisione a quale porzione, proteina, dell’alimento si è realmente ipersensibili – interviene Mario Di Gioacchino, vicepresidente Siaaic e coordinatore delle linee guida – Questi strumenti sono essenziali, perché permettono di dare indicazioni ai pazienti più accurate rispetto al passato, migliorando nettamente la loro qualità di vita: in alcuni casi ad esempio è possibile consumare un frutto a cui si è allergici togliendone la buccia, oppure un alimento si può mangiare una volta cotto. Dipende dalle proteine specifiche che sono coinvolte nell’allergia, conoscerle oggi è possibile e significa anche sapere se il paziente è a maggiore o minor rischio di reazioni severe fino allo shock anafilattico”. Le linee guida vogliono indicare ai medici il corretto percorso diagnostico, mentre “il vademecum dedicato ai pazienti vuole invece essere una ‘guida’ per riconoscere i sintomi di possibili allergie e per trovare le risposte che servono davvero”. Un semplice diario alimentare, ad esempio, è un primo e utilissimo passo per riuscire ad associare il consumo di un alimento a un’eventuale reazione. Poi, occorre rivolgersi a un allergologo evitando il fai da te con i test per le intolleranze.
“Sarà lo specialista a sottoporre il paziente agli esami adeguati per capire se si tratta di un’allergia o di un’intolleranza o se pure non c’è nulla di tutto questo di cui preoccuparsi – osserva Donatella Macchia, responsabile dell’Area allergie Alimentari Siaaic – Il vademecum indica anche quali risposte ci si devono attendere da un medico qualificato e quali sono i comportamenti ‘virtuosi’ se ci si scopre allergici o intolleranti: primo su tutti, attenersi alle indicazioni dietetiche date senza cedere al fai da te”.
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