Si aprono nuovi orizzonti per i pazienti affetti dalla malattia di Crohn, patologia infiammatoria cronica dell’intestino che colpisce il tratto gastrointestinale provocando una vasta gamma di sintomi. La scorsa settimana a Washington durante il DDW (Digestive Disease Week), principale appuntamento congressuale internazionale sulle malattie dell’apparato digerente, sono stati presentati i dati delle analisi di sottogruppo dello studio sulla malattia di Crohn con GED-0301 (Mongersen), pubblicato sulla prestigiosa rivista New England Journal of Medicine lo scorso marzo. Lo studio, coordinato dal professore Giovanni Monteleone dell’Università di Roma – Tor Vergata, ha utilizzato una terapia farmacologica che ha prodotto una significativa remissione della malattia, grazie ad un meccanismo di azione innovativo concepito per agire localmente, in una patologia nella quale l’effetto terapeutico dei farmaci fino ad ora disponibili risulta ancora condizionato dalla gravità e durata della malattia. Lo studio, condotto su 166 pazienti adulti affetti da malattia di Crohn moderata e grave con lesioni infiammatorie documentate nell’ileo terminale e/o nel colon destro, è il frutto di un partenariato fra 14 centri italiani ed uno tedesco, ma nasce nel solco della ricerca italiana della scuola di Gastroenterologia di Tor Vergata diretta dal prof. Pallone e portata avanti dal Prof. Giovanni Monteleone con il supporto dell’azienda farmaceutica Giuliani. Tra i centri italiani che hanno contribuito al successo dello studio vi è l’Unità operativa di Medicina Interna 2 dell’Azienda Villa Sofia Cervello diretta dal prof. Mario Cottone, con il coordinamento del dott. Ambrogio Orlando, che ha contribuito alla realizzazione dello studio con l’inserimento di 10 pazienti. Elemento principe dello studio e del trattamento farmacologico è l’utilizzo di una molecola, l’oligonucleotide antisenso anti Smad 7, contenuta nel farmaco GED – 0301, capace di bloccare una citochina infiammatoria (in pratica una diversa molecola proteica), lo Smad 7, la cui presenza in livelli eccessivi stimola appunto l’infiammazione, acuendo la malattia. “Nei pazienti che hanno ricevuto il farmaco attivo – spiega il dr. Orlando – l’efficacia risulta veramente elevata e rapida confrontata con i farmaci disponibili fino ad oggi. Inoltre l’assenza di effetti collaterali e l’utilizzo della somministrazione orale, rappresentano caratteristiche che renderebbero questo farmaco, sempre che i dati vengano confermati nello studio di fase III e in altre localizzazioni di malattia, molto promettente per questi pazienti. Dallo studio sono stati esclusi i pazienti con lesioni note dello stomaco, dell’intestino tenue prossimale, del colon trasverso e/o del colon sinistro, stenosi, fistole, malattia perianale, manifestazioni extraintestinali, infezioni attive o recenti o storia di neoplasia maligna”. I pazienti inclusi nello studio sono stati randomizzati (termine tecnico utilizzato negli studi sperimentali per attribuire ai pazienti o il trattamento sperimentale o un altro trattamento già in uso o il placebo), attraverso la somministrazione giornaliera per due settimane con una delle tre dosi di GED-0301 (10 mg/die, 40 mg/die o 160 mg/die) in compresse o placebo. La risposta al trattamento è stata valutata ai 15, 28 e 84 giorni ed è risultata positiva con percentuali di remissione diverse a secondo della dose di farmaco somministrata. Il punto finale di efficacia primaria dello studio era rappresentato dalla percentuale di pazienti in remissione clinica, indicata con il CDAI (Crohn Disease Activity Index), il punteggio di riduzione utilizzato in questa malattia, che doveva essere inferiore a 150 al giorno 15 e mantenuto fino al giorno 28. I pazienti potevano continuare ad assumere dosi stabili di cortisone o mesalazina per via orale nel corso delle due settimane di trattamento e/o una dose stabile di immunomodulatori (p. es. azatioprina, mercaptopurina, metotrexato) purché la terapia fosse stata iniziata 6 mesi prima del trattamento. Prima dell’inizio dello studio e durante le due settimane di trattamento non potevano essere avviate terapie a base di antibiotici, steroidi, immunosoppressori e agenti biologici. I pazienti arruolati nello studio non dovevano aver ricevuto anticorpi anti-TNF-alfa o altri agenti biologici oppure antibiotici rispettivamente nei 90 giorni precedenti e nelle 3 settimane precedenti l’inizio dello studio. “Nei prossimi mesi – aggiunge il dott. Orlando dovrebbe partire lo studio internazionale di fase III su una casistica molto più ampia, che se confermerà questi incoraggianti risultati dovrebbe portare nell’arco di 2-3 anni alla registrazione di questo farmaco per il trattamento della malattia di Crohn. Anche in questo nuovo studio il nostro centro contribuirà ad arruolare pazienti offrendo loro ancora una volta l’opportunità di utilizzare farmaci sperimentali per il trattamento della loro malattia”.
Redazione
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