L’Oms indica le malattie reumatiche come prima causa di dolore e disabilità in Europa. Si calcola che il 15% della popolazione italiana ne sia affetta e la spesa per queste malattie è stimata pari a 5-6 miliardi di Euro/anno. Nel loro complesso, le malattie reumatiche rappresentano la più frequente causa di assenze lavorative e la causa di circa il 30% delle pensioni di invalidità attualmente erogate nel nostro Paese. Dunque, un enorme problema di sanità pubblica. Quando si parla di malattie reumatiche il pensiero si volge immediatamente a quelle di tipo degenerativo, come artrosi e osteoporosi, che hanno sicuramente il maggior impatto epidemiologico. Purtroppo è assai meno diffusa la conoscenza di malattie reumatiche aggressive, invalidanti e potenzialmente curabili come artrite reumatoide, spondilite anchilosante, artrite psoriasica. Eppure sono malattie tutt’altro che rare, che colpiscono, globalmente considerate, oltre il 2% della popolazione generale. Concentriamo la nostra attenzione sull’artrite reumatoide. E’ una malattia ad eziologia sconosciuta (non ne conosciamo la causa) e patogenesi autoimmune (nel senso che i meccanismi del danno derivano da un “disorientamento” del sistema immunitario che aggredisce strutture del proprio organismo). Clinicamente è caratterizzata da una poliartrite che coinvolge, nelle forme tipiche, le articolazioni periferiche (polsi, mani, ma anche caviglie e piedi), e provoca, se non adeguatamente trattata, deformazioni articolari irreversibili e grave limitazione funzionale. Questa malattia colpisce oltre lo 0.5% della popolazione generale e si stima che nella nostra regione ci siano oltre 300.000 pazienti affetti. Presso il nostro Centro sono in follow up circa 700 pazienti con artrite reumatoide. La malattia colpisce più frequentemente le donne (il rapporto F/M è di circa 3/1) ed esordisce più spesso nella quarta decade di vita, ma può presentarsi a tutte le età. Basti pensare che in circa un terzo dei casi ha un esordio tardivo, dopo i 60 anni e sono forme spesso più difficili da diagnosticare sia per la presentazione atipica dei sintomi che per la confusione diagnostica con l’artrosi. Esistono anche forme ad insorgenza in età pediatrica, oggi meglio definite come artrite idiopatica giovanile, con andamento molto simile. L’artrite reumatoide compromette notevolmente la qualità della vita, in misura paragonabile a malattie come la sclerosi multipla e la cardiopatia ischemica, e circa il 20% dei pazienti non trattati è costretto ad abbandonare il lavoro. Inoltre, è stato recentemente dimostrato che l’artrite reumatoide rappresenti un fattore di rischio cardiovascolare paragonabile al diabete e il tasso di mortalità è raddoppiato in questi pazienti. Eppure è una malattia per la quale oggi disponiamo di terapie farmacologiche estremamente efficaci! Il primo passo è la diagnosi precoce. Essa dipende, innanzi tutto, da una più diffusa conoscenza della malattia: troppo spesso il paziente è portato a sottovalutare i primi sintomi articolari, ad esempio la rigidità articolare al risveglio, ritardando l’intervento del medico. Un punto cruciale è la corretta valorizzazione dei sintomi da parte del medico di medicina generale, con il precoce invio dal reumatologo. Numerosi studi hanno dimostrato che il precoce invio del paziente dallo specialista migliori la prognosi a lungo termine della malattia, proprio perché consente una diagnosi più precoce e il tempestivo inizio di una adeguata terapia. Sotto questo aspetto il nostro armamentario terapeutico è oggi davvero completo. Esso si avvale di vari gruppi di farmaci come i farmaci sintomatici, cortisone e anti-infiammatori non steroidei, da utilizzare solo in alcune fasi di malattia, per ottenere un rapido controllo dei sintomi. Altri farmaci di fondo tradizionali (primo tra tutti il methotrexate) sono in grado di incidere sui meccanismi patogenetici del danno articolare migliorando la prognosi di malattia; infine i cosiddetti farmaci “biologici”. Tali farmaci, definiti in modo più appropriato “biotecnologici” (in quanto frutto dell’ingegneria molecolare), agiscono modificando in modo molto selettivo la risposta biologica dei soggetti affetti da malattia. Essi inibiscono cellule e sostanze che hanno un ruolo chiave nel determinare l’infiammazione articolare ed il conseguente danno anatomico che provoca invalidità. Essi ci consentono oggi di arrestare o quanto meno rallentare la progressione di malattia anche nelle forme più severe, non responsive ai farmaci tradizionali e che sono circa il 30% dei casi. I primi farmaci “biotecnologici” sono stati utilizzati fin da 15 anni fa. Sono farmaci ad azione anti-TNF che si sono dimostrati efficaci anche in altre malattie come la spondilite anchilosante e la artrite psoriasica, modificando l’andamento di queste condizioni patologiche, altrettanto gravi e invalidanti. Poi sono stati sintetizzati farmaci con altri meccanismi d’azione, altrettanto efficaci nella terapia dell’artrite reumatoide. Infine è stato approvato un farmaco biotecnologico efficace nella terapia di una malattia reumatologica sistemica grave e complessa come il lupus eritematoso sistemico. L’esperienza clinica su questi farmaci è ormai molto ampia e il profilo di tollerabilità assolutamente confortante. Presso il nostro Centro seguiamo circa 400 pazienti in trattamento con farmaci biotecnologici. Se utilizzati in modo appropriato e in mani esperte ci stanno consentendo di cambiare radicalmente la storia naturale delle principali malattie reumatologiche autoimmuni.
Dott. Giuseppe Provenzano
Responsabile Centro di Reumatologia, Plesso distaccato via del Fante (ex-CTO), AOOR Villa Sofia – Cervello