Da tempo, l’attenzione sul problema crescente dell’obesità nei bambini è stata posta come priorità dalla Medicina ufficiale in Italia, ma quest’attenzione mediatica non riesce ancora a tradursi in politiche ufficiali universalmente efficaci. Ora, uno studio dell’Oms Europa e dell’Emory University presentato all’European Congress on Obesity di Praga ha rilevato che nel nostro Paese un bambino su dieci è sovrappeso o obeso.
Questo dato non è drammatico, poiché altri Paesi sono combinati peggio come Inghilterra e Irlanda, il cui tasso di obesità infantile è doppia rispetto all’Italia, ma ciò non deve consolare. Infatti, la più alta percentuale di bimbi con problemi di peso è in Irlanda, con il 27,5%, seguita dalla Gran Bretagna con il 23,1%. L’Italia è a metà classifica, con il 10,2%, mentre Svezia e Repubblica Ceca sono quelle più virtuose, rispettivamente con l’8% e il 5,5%. Lo studio si fonda sugli studi disponibili nella letteratura scientifica in ogni singola nazione della regione Europea dell’Oms. Rebecca Jones, uno degli autori, ha dichiarato: ‘’Crediamo sia molto probabile che nei paesi con un’obesità più bassa il merito sia delle pratiche di allattamento così come dell’educazione nutrizionale delle mamme e della maggiore attività fisica dei più giovani.
Ricerche recenti hanno legato lo status nutrizionale dei primi mesi di vita alla salute a lungo termine’’.
Una delle cause principali dell’obesità è provocato dalla scarsa attitudine al movimento nei ragazzi, in pratica alla sedentarietà dilagante.
Di recente, il responsabile tecnico dell’Ufficio regionale per l’Europa dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), Susanna Kugelberg, ha dichiarato durante un congresso tenutosi a Rimini nell’ambito del 7/o International Mediterranean Meeting Nu.Me. (Nutrition and Metabolism): “Solo il 34% degli adolescenti europei tra i 13 e i 15 anni si muove quotidianamente secondo quanto consigliato dalle attuali linee guida.
Per contrastare questo trend negativo, la Regione Europa dell’Oms è stata la prima nel mondo ad aver sviluppato una strategia per promuovere l’attività fisica, che verrà presentata, e successivamente adottata dagli Stati membri, durante la prossima riunione del Comitato regionale dell’Oms che si terrà a Vilnius, in Lituania, a settembre. In questo modo, la promozione dell’attività fisica entrerà davvero a far parte dei programmi per la salute dei singoli Paesi e spingerà i rispettivi governi ad attuare strategie specifiche”.
Il problema non è di poco conto, poiché il diabete è da tempo associato con l’esordio di malattie quali l’Alzheimer, per cui un’obesità infantile che porti al diabete precoce non può che favorire l’insorgere anche di queste malattie.
Non a caso, la cura del diabete ma anche dei disturbi depressivi può proteggere il cervello dalla demenza. Infatti, un maxi-studio condotto da Dimitry Davydow dell’University of Washington School of Medicine a Seattle e pubblicato sulla rivista Jama Psychiatry su oltre 2,4 milioni di anziani dimostra che soffrire sia di depressione sia di diabete aumenta più del doppio il rischio di ammalarsi di malattia di demenza.
Tuttavia, controllando in tempo sia il diabete sia la depressione, si rimanda a lungo l’esordio della demenza senile.
I ricercatori Usa hanno seguito nel tempo il proprio campione di individui anziani e hanno notato che il rischio di sviluppare demenza cresce del 20% in presenza del diabete. Con la depressione il rischio sale dell’83%, ma quando un paziente soffre sia il diabete sia la depressione, il rischio risulta più che raddoppiato (+117%).
L’Ordinario di Gerontologia e Geriatria Università di Perugia e Tesoriere della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG), Patrizia Mecocci, ha affermato: “Questo studio è importante perché eseguito su un grosso campione di individui, questo studio non fa che confermare legami sospetti tra diabete e demenza che erano già sollevati da precedenti studi.
Ci sono anche dei possibili validi motivi quali un cattivo controllo della glicemia che altera i vasi sanguigni a livello cerebrale, procurando dei danni. Inoltre anche nel cervello sono presenti recettori dell’insulina che risultano alterati in pazienti diabetici e questo può favorire la demenza.
Non a caso si è dimostrato che i diabetici con un buon controllo glicemico non hanno un rischio di demenza più elevato dei non diabetici.
Per quanto riguarda la depressione, si è visto che uno stato depressivo di lunga durata causa alterazioni neurali che possono favorire la demenza. C’è anche da dire che spesso nell’anziano la depressione è e va riconosciuta come uno dei primi sintomi di manifestazione dell’Alzheimer. Bisognerebbe seguire nel tempo gli anziani depressi per capire se in realtà dietro il disturbo dell’umore c’è una demenza incipiente’’.
Francesco Sanfilippo