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Scelta libera di dove curarsi, ma a spese proprie


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Il rimborso delle cure sostenute (o da sostenersi) all’estero è condizionato all’oggettiva impossibilità di trovare in Italia cure tempestive, efficaci e adeguate alla particolarità del caso clinico. Il T.A.R. Sicilia Palermo ha respinto il ricorso con il quale era richiesto l’annullamento del provvedimento che la Commissione Sanitaria Regionale aveva rigettato.
La domanda respinta riguardava il rimborso delle spese relative al ricovero presso una struttura sanitaria sita nella Repubblica Federale di Germania. L’azione era mirata alla cura di una patologia, il cui trattamento presso strutture nazionali avrebbe comportato un elevato rischio di subire conseguenze collaterali altamente invalidanti, a causa del minore contenuto tecnologico delle apparecchiature ivi utilizzate. Il Collegio ha ritenuto legittimo il diniego perché ha ritenuto che le cure necessarie erano ottenibili in tempo utile anche presso strutture sanitarie nazionali.
Secondo la Corte, le preferenze del malato per una specifica modalità di cura non bastano a giustificare il rimborso delle spese mediche. Non sussiste, infatti, l’oggettiva “impossibilità di una cura” tempestiva, efficace ed adeguata in Italia, ma, più semplicemente, si profila una soggettiva (e certo legittima) preferenza per una “diversa modalità” di cura.
La scelta di quest’ultima, non può, quindi, essere caricata economicamente sulla collettività ma non può che rimanere a carico del singolo. A sostegno di questa tesi esposta, il Collegio richiama la disciplina vigente in materia, ed in particolare, l’art. 3, comma V, della L. 23 ottobre 1985 n. 595. Secondo quest’articolo, “con decreto del Ministro della sanità, sentita il Consiglio sanitario nazionale, previo parere del Consiglio superiore di sanità, sono previsti i criteri di fruizione, in forma indiretta, di prestazioni assistenziali presso centri di altissima specializzazione all’estero in favore di cittadini italiani residenti in Italia, per prestazioni che non siano ottenibili nel nostro Paese tempestivamente o in forma adeguata alla particolarità del caso clinico”. Il successivo decreto ministeriale del 3 novembre 1989 stabilisce, poi, che “ai fini del presente decreto è considerata “prestazione non ottenibile tempestivamente in Italia” la prestazione per la cui erogazione le strutture pubbliche o convenzionate con il Servizio sanitario nazionale richiedono un periodo di attesa incompatibile con l’esigenza di assicurare con immediatezza la prestazione stessa, ossia quando il periodo di attesa comprometterebbe gravemente lo stato di salute dell’assistito ovvero precluderebbe la possibilità dell’intervento o delle cure. È considerata “prestazione non ottenibile in forma adeguata alla particolarità del caso clinico” la prestazione che richiede specifiche professionalità ovvero procedure tecniche o curative non praticate ovvero attrezzature non presenti nelle strutture italiane pubbliche o convenzionate con il Servizio sanitario nazionale”.

Francesco Sanfilippo

di Francesco Sanfilippo

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