Molto spesso, le intolleranze alimentari, in particolare quelle al grano, non trovano apparenti spiegazioni per il loro esordio. Nel 2013, è stato avviato un esperimentomirante a individuare le possibili cause per le intolleranze sempre più diffuse al grano. Lo spunto per il progetto nasce dall’idea del Consiglio Nazionale dei Chimici (Cnc) che la modifica della composizione di alcuni costituenti della pasta – per effetto anche di nuove tecniche di lavorazione
– può avere delle ricadute sulla tollerabilità dell’alimento per l’organismo.
L’Idea è condivisa ed arricchita dall’ Università di Palermo tramite il suo Dipartimento Stebicef (Sezione di Chimica). Inoltre, si è aggiunta l’iniziativa di Legambiente sul recupero dei grani siciliani che ha portato alla creazione del “Manifesto della Nuova Agricoltura”.
Anche il Centro Studi di Medicina Integrata (CeSMI) ha manifestato l’intenzione di procedere ad una verifica di natura medica sulle conseguenze della lavorazione del grano.
L’obiettivo del progetto è stato quello di avere un definitivo riscontro medico e di permettere la messa a punto di metodi biologici di diagnosi sui soggetti che possono sviluppare la sindrome del colon irritabile per assunzione di prodotti derivati dal grano.
Il presupposto scientifico elaborato dal Cnc, dall’Università degli Studi di Palermo e dal CeSMI è che l’aumento dei casi di intollerabilità sia legato a frazioni proteiche, la cui veicolazione tramite il sistema digerente produce gli effetti dell’intolleranza. Le ipotesi circa tale veicolazione sono riconducibili a due linee: la prima è che tali frazioni proteiche siano aliene ai grani duri antichi e siano correlate alla modificazione genetica apportata al grano duro “Creso” da cui discendono moltissime delle varietà oggi utilizzate. Queste ultime potrebbero essere responsabili della sindrome flogistica intestinale con aumentata permeabilità intestinale e successiva intolleranzacon i sintomi caratteristici della sindrome dell’intestino irritabile. La seconda è legata a modificazioni delle proteine a seguito del processo tecnologico di essicazione a caldo, introdotto all’inizio degli anni 80, e alla mancata cessione della salda d’amido, che è la sostanza che dà all’acqua di cottura la torbidezza e si presenta con aspetto colloso. Per provare questa teoria, è stato necessario sottoporre un numero di volontari sufficientemente ampio per un test iniziale basato su una dieta a base di pasta derivata da monocoltura di grano antico ed essiccata naturalmente.
La scelta è ricaduta sulla produzione di un pastificio di Modica che ha fornito pasta di grano duro “Timilia”. I risultati sono stati perfettamente in linea con le aspettative: i trenta pazienti – che non hanno assunto altri derivati del grano sotto forma di pane o di altri prodotti da forno – hanno tollerato molto bene il grano “Timilia”. Si è registrata, addirittura, la riduzione o la scomparsa dei sintomi clinici. È emerso, inoltre, che la metà dei volontari ha una predisposizione genetica alla celiachia, anche in assenza di anticorpi presenti nella malattia celiaca. L’equipe medica ha, quindi, richiamato questi volontari a rischio per consigliare loro una dieta adeguata e la necessità di proseguire con gli accertamenti bioptici intestinali. Si vedrà così se il grano “Timilia” sarà capace di migliorare l’integrità della mucosa intestinale
Dott. Eugenio Cottone
Consigliere Nazionale Ordine Chimici
Dott. Eugenio Cottone
Consigliere Nazionale Ordine Chimici