In passato, vari ricercatori hanno cercato di somministrare insulina a persone a rischio di diabete come forma di immunoterapia, similmente a quanto si fa con i vaccini contro le allergie. Nessuno degli studi fatti finora, tuttavia, ha evidenziato una risposta efficace, rendendo vano ogni sforzo. Ora, un frammento di insulina mutato si è dimostrato in grado di impedire il diabete di tipo 1 nei topi e di provocare una risposta immunitaria nelle cellule umane. Un gruppo di ricercatori del centro National Jewish Health e dell’Università del Colorado ha pubblicato, di recente, un articolo online sui Proceedings of the National Academy of Sciences. Dai risultati ottenuti dagli studi, emergerebbe la possibilità che questa molecola potrebbe essere utilizzata per prevenire il diabete di tipo 1 negli esseri umani. Secondo il professore di Ricerca Biomedica presso National Jewish Health, John Kappler, “l’incidenza del diabete di tipo 1 è in forte aumento. I nostri risultati forniscono un importante prova di concetto a favore di una strategia di vaccinazione promettente nell’uomo”. I risultati pubblicati ora su PNAS, tuttavia, indicano che un frammento di insulina con un unico aminoacido modificato potrebbe provocare quella risposta immunitaria he si è finora rivelata così elusiva, permettendone lo studio dei meccanismi di reazione. Infatti, l’idea di questa sostituzione è derivata da più di un decennio di ricerche volte a mostrare nel dettaglio le caratteristiche della risposta del sistema immunitario all’insulina a livello molecolare. Questo lavoro ha suggerito che la sostituzione di un aminoacido in un frammento d’insulina può causare un migliore riconoscimento da parte del sistema immunitario. Topi ed esseri umani, in realtà, differiscono sotto molti aspetti poiché la biologia resta differente nonostante le somiglianze e le strategie che funzionano nell’animale non producono spesso una risposta simile nell’uomo. Tuttavia, nel 2011, un team di ricercatori dell’Università di Harvard e del Dana Farber Cancer Institute ha dimostrato che la strategia suggerita dal gruppo di Kappler era in grado di prevenire il diabete di tipo 1 nei topi. Nell’articolo pubblicato su PNAS, i ricercatori hanno mescolato un frammento di insulina naturale e frammento di insulina mutato con diversi tipi di cellule umane. Avrebbero, così, scoperto che le cellule T umane hanno risposto poco o niente al frammento di insulina naturale, mentre hanno risposto abbastanza a quello mutato, producendo citochine sia pro-infiammatorie sia anti-infiammatorie. Infatti, nelle risposte immunitarie sane i fattori anti-infiammatori e quelli pro-infiammatori si equilibrano, mentre nelle malattie autoimmuni, come appunto il diabete, quelle pro-infiammatorie sono prevalenti. I risultati attuali non provano che il frammento di insulina mutato funzioni come un vaccino nell’uomo, ma mostrano che nell’uomo si è ottenuta una risposta coerente con la risposta alla vaccinazione ottenuta nei topi. “I nuovi risultati confermano come il lavoro scrupoloso che abbiamo fatto per capire l’interazione non convenzionale tra l’insulina e il sistema immunitario abbia rilevanza anche per l’uomo e potrebbe, in futuro, portare a un vaccino e a un trattamento per il diabete” ha concluso Kappler. In un altro studio, appena pubblicato su Diabetes Care, l’adiponectina urinaria si è rivelata un forte fattore predittivo indipendente di progressione della nefropatia diabetica nell’individuare una malattia renale in stadio terminale nei pazienti con diabete di tipo 1. Secondo gli autoridello studio, coordinati da Nicolae M. Panduru, dell’Università di Bucarest, in Romania, i risultati sull’adiponectina urinaria (uADP) offrono un vantaggio predittivo aggiuntivo rispetto ai biomarcatori attualmente disponibili. Secondo i reicercatori “Da un punto di vista clinico, questi risultati sono importanti perché il rischio di progressione verso la fase terminale della nefropatia nei pazienti con diabete di tipo 1 non è facile da valutare sulla base della velocità di escrezione dell’albumina o della velocità di filtrazione glomerulare stimata, date le limitazioni di ciascuna delle due misure. Nei pazienti con diabete di tipo 1 e macroalbuminuria, l’adiponectina urinaria non è solo un forte predittore indipendente di progressione della nefropatia diabetica verso uno stadio terminale, ma offre anche un beneficio predittivo aggiuntivo significativo se utilizzata assieme alla velocità di escrezione dell’albumina o alla velocità di filtrazione glomerulare stimata. Questo potrebbe essere dovuto al fatto che l’adiponectina urinaria è correlata ai fattori di rischio riconosciuti di progressione della nefropatia diabetica, come il danno glomerulare, la disfunzione tubulare e il controllo glicemico, nonché altri fattori importanti per tale progressione come la cachessia”.
Francesco Sanfilippo