La tiroide è uno dei nostri organi più importanti, ma anche uno dei più trascurati. Eppure, la sua azione è vitale per il nostro sviluppo corporeo e per la sua conservazione funzionale. Una sua disfunzione genera condizioni cliniche che mettono a dura prova la salute del nostro corpo, ma esistono esami che ci permettono di individuare tale disfunzione. I suoi enzimi, quindi, sono vitali per il nostro organismo. Ci sono, poi, comportamenti dell’uomo che inducono una riduzione della tiroide. Ad esempio, una carenza di carboidrati alimentari, protratta nel tempo per il rifiuto di assumerli, causa una riduzione del valore fT3, condizione di effettivo ipotiroidismo indotto da una dieta errata. Inoltre, una tiroide malfunzionante genera uno stato depressivo nella relazione con persone ed ambiente di vita e di lavoro.
L’analisi più indicativa ed affidabile per la valutazione iniziale di disfunzione tiroidea è rappresentata dal valore del Tsh nel sangue. È un ormone secreto dall’ipofisi e interviene nella gestione della tiroide. Un valore elevato del Tsh significa una ridotta funzionalità tiroidea, che si definisce ipo-tiroidismo, mentre
un suo valore sotto il livello definito “normale” significa iper-tiroidismo. Esiste un rapporto vitale tra l’intestino, il fegato, la tiroide e l’alimentazione, poiché
la tiroide secerne il 90% dell’ormone fT4 e il 10% dell’ormone fT3. Tuttavia, è l’ormone fT3 a svolgere appieno le funzioni metaboliche all’interno delle cellule. L’ormone fT4 è trasformato in fT3 da alcuni enzimi (desiodasi) ubicati nelle membrane cellulari del fegato, rene, tessuto adiposo, cute, cervello, ipofisi.
Le cause che possono alterare la funzione delle desiodasi sono varie, come un’errata alimentazione, l’eccesso di peso corporeo, diete carenti di carboidrati, livelli elevati di insulina nel sangue. Queste ultime causano una riduzione di efficienza di questi enzimi.
Le desiodasi, infatti, sono enzimi capaci di togliere un atomo di iodio dall’ormone fT4 trasformandolo in fT3. Il numero indica gli atomi di iodio presenti nell’ormone. L’alterata funzione degli enzimi desiodasi è più frequente di quanto si possa pensare. In questa condizione non è la tiroide a non funzionare bene, bensì i suoi enzimi che sono presenti, soprattutto, nel fegato. Un ruolo centrale sulla funzionalità tiroidea è esercitato dall’integrità dei villi presenti nell’intestino tenue. Esiste, perciò, un rapporto tra alterata permeabilità (celiachia-sensibilità al glutine) dei villi intestinali del tenue e la patologia autoimmunitaria della tiroide.
Avere un’alimentazione capace di assicurare e di recuperare una corretta funzione dei villi intestinali può generare un netto miglioramento delle funzioni della tiroide. Per verificarlo, si possono eseguire le analisi sugli anticorpi anti tiroide (denominati anti-Tpo, anti-Tg, anti-Tr), che
sono prodotti dallo stesso organismo e che possono aggredire la tiroide. Queste analisi possono essere eseguite in ogni ospedale o laboratorio Clinico pubblico e privato e sono importanti per le gestanti.
Infatti, un dosaggio di anti-Tpo, durante il primo trimestre di gravidanza, indica un rischio di sviluppo di tiroidite post-partum che, se curata in fase iniziale, eviterà di arrecare disturbi nella donna.
Ogni anticorpo antitiroideo indica uno specifico quadro patologico, che il medico di fiducia potrà spiegare. Per chi ha, poi, valori elevati di anticorpi positivi contro la propria tiroide, è preferibile, in questo caso, che esegua anche una ricerca sull’intolleranza al glutine. Si può realizzare una ricerca della calcitonina che è un ormone che interviene nel metabolismo del calcio, secreto dalla tiroide, che circola ogni giorno nel nostro sangue. I valori alterati della calcitonina possono essere interpretati come marcatori di un carcinoma della tiroide. Un’altra situazione dalle conseguenze gravi è l’assunzione di una dose ristretta di carboidrati o, peggio, l’astensione dai carboidrati, che procura una chetosi. Quest’ultima è un’acidificazione dei tessuti corporei causati dalla formazione di corpi chetonici per carenza di carboidrati. Ciò provoca una riduzione del fT3, un aumento del cortisolo, una perdita del muscolo e del peso a scapito della massa magra muscolare. Si riducono il metabolismo e il consumo di ossigeno, ma la condizione di chetosi porta al blocco della perdita di peso. Un fT3 basso causa un blocco nella perdita di peso corporeo, cadendo nella sindrome di adattamento metabolico.
L’organismo, così, reagisce alla dieta povera di carboidrati, bloccando la perdita del peso corporeo. Questa condizione si chiama blocco metabolico del peso corporeo ed è causato dalla tiroide.
La carenza di fT3 crea riduzione della termogenesi che è la condizione per cui la persona sente freddo.
Pertanto, la persona è stanca, insonne, nervosa, e può finire per aumentare di peso per riduzione del suo metabolismo ossidativo. Il blocco metabolico nella perdita di peso corporeo si ha dopo 15 – 20 giorni dall’inizio di una dieta ipocalorica fortemente carente di carboidrati (assenza di pane, pasta, riso, cereali, legumi), con una dose giornaliera inferiore a 100 g di carboidrati.
Il blocco metabolico è, comunque, variabile nel tempo, poiché è soggettivo, ma si verifica per la riduzione di fT3. Una persona che non conosce questo processo ormonale fisiologico, concentra la delusione sulla dieta, quando è proprio la dieta ad essere causa di questo blocco.
Le giovani donne in età fertile con carenza di carboidrati alimentari possono avere amenorrea (blocco ciclo) per ipotiroidismo (fT3 basso) indotto da dieta. Tuttavia, non appena la persona decide di smettere di eseguire la dieta, riprende il peso eliminato in pochi giorni. C’è da riflettere, non si mangia solo per dimagrire!
Prof. Pier Luigi Rossi
Medico Specialista dell’alimentazione Università di Bologna