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“Km 0”, ormai un lusso per pochi cittadini

Oggi recandosi in un supermercato si tende molto al risparmio, molte volte però viene tralasciata la qualità e la provenienza dei prodotti acquistati. Oggi parliamo di corretti stili di vita, ci prepariamo alla grande esposizione mondiale che si terrà a Milano, dedicata all’alimentazione, ma tutto quello che predichiamo è concreto? Il “km 0”, in città è assai complicato, cercare di consumare alimenti freschi e prodotti in maniera genuina e quasi impossibile, si per la vita frenetica di tutti i giorni e soprattutto per le scarse economie di una famiglia media. L’unione europea e i paesi membri, dovrebbero dare un sterzata alla tendenza del consumismo, alla globalizzazione e attenzionare maggiormente la qualità e blindare le produzioni nazionali ove le norme di tutele della salute sono rigide e ponderate. Se quello che mangiamo è già guasto all’origine diventa difficile condurre un sano stile di vita alimentare. Siamo il paese del canone inverso, l’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco), porta avanti una campagna aggressiva di riduzione dell’utilizzo dei farmaci e soprattutto dell’abuso degli antibiotici perché creano resistenze al nostro sistema immunitario e l’inefficacia degli stessi quando stiamo veramente male, tutto quello che mangiamo in un modo o nell’altro ha dei contenuti indotti di antibiotici, conservanti e chi più ne ha più ne metta.
E’ noto a tutti l’ampio utilizzo di antibiotici negli allevamenti massivi di pollame, bovini e ovini quanto nel pesce d’allevamento, oltre all’impiego di farine animali e conservanti che fanno da re nei prodotti di ampio consumo, tuttavia potremmo evitare di andare in farmacia quando si sta male.
Esiste la convinzione, molto diffusa negli allevamenti di carne che consumiamo, dell’utilizzo di estrogeni, essendo eccezionali acceleratori di crescita, per far ingrassare gli animali. Queste convinzioni sono nate intorno alla fine degli anni ’50 quando si scoprì che trattando gli animali con ormoni sintetici o naturali, questi crescevano più di quelli non trattati. Si vide anche che somministrando il potente estrogeno sintetico Dietilstilbestrolo era possibile “castrare” i polli maschi e trasformarli in capponi.
Grazie ad attenti medici e ricercatori ci si rese conto che gli ormoni restavano come residui nelle carni e che tali residui provocavano gravi conseguenze a chi le mangiava ed in particolare ai bambini: furono infatti osservati numerosi casi di alterazioni a carico dell’apparato riproduttore maschile e femminile.
Le Autorità Sanitarie, almeno in Italia, reagirono con grande determinazione e, a partire dagli inizi degli anni ’60, vennero emanati provvedimenti molto rigorosi che negli allevamenti proibirono sia l’uso, sia la detenzione di qualsiasi “sostanza ad attività ormonale”. Seguirono controlli estesi sul territorio nazionale che consentirono di arginare se non bloccare completamente il fenomeno. L’uso degli ormoni anabolizzanti in zootecnia consentiva di ottenere importanti vantaggi economici. Proprio sulla base di questo fatto in alcuni paesi, come gli USA, il trattamento con ormoni è stato autorizzato negli allevamenti dei bovini da carne; sono state però anche imposte regole che di fatto dovrebbero escludere la persistenza di residui. L’Unione Europea invece ha imposto il divieto dell’impiego degli ormoni anabolizzanti zootecnici in tutto il territorio della comunità e da molti anni ha anche messo a punto un programma di controlli che coinvolge tutte le Autorità Sanitarie nazionali. E come la mettiamo che gran parte delle carni che noi consumiamo sono provenienti da altri paesi?
I salumi che mangiamo sono fatti con bestiame allevato altrove, dove le nostre sicure regole nel non utilizzo di anabolizzanti, ormoni ed antibiotici restano fine a se stesse, visto che le carni entrano in Italia macellate e il controllo sanitario non prevede alcuni esami specifici.

Dott. Girolamo Calsabianca
Segretario Nazionale ANIO Onlus

di Dott. Girolamo Calsabianca

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