Le ragadi anali sono un vero problema perché sono tra le patologie anali più dolorose, persistenti e, a volte, recidive, non sempre facili da curare e, nei casi più gravi, possono rendere necessario il ricorso alla chirurgia. Rappresentano una patologia piuttosto diffusa della quale, però, pochi a causa dell’imbarazzo parlano al proprio medico, trascinando per anni un problema che peggiora inesorabilmente.
Le ragadi sono delle lesioni localizzate sul margine anale posteriore in prossimità del coccige. Nelle donne, in particolare, possono essere localizzate anche nella zona anteriore. In entrambi i casi, comunque, queste ulcerazioni si formano in corrispondenza dei punti di minor estensibilità ed elasticità della cute anale sottoposta a fenomeni di contrazione e di distensione.
Le cause del problema sono diverse, ma gioca un ruolo importante anche la predisposizione anatomica, le errate abitudini alimentari, la sedentarietà, la gravidanza e il parto. Lo sforzo durante la defecazione provoca una sproporzionata distensione dell’ano e una conseguente lacerazione dei tessuti che, una volta fessurati, bruciano al passaggio delle feci. Il dolore che ne consegue è così intenso che il paziente finisce con il rifiutare di andare di corpo, favorendo l’insorgenza di una stipsi secondaria che contribuisce ad aggravare un quadro clinico già compromesso.
Intenso dolore durante la defecazione, bruciore, prurito e, raramente, piccoli sanguinamenti sono i sintomi della comparsa di una ragade che non va confusa con il prolasso emorroidario caratterizzato, invece, da intenso sanguinamento durante la defecazione, senza sintomatologia dolorosa, a meno che non sia presente una trombosi emorroidaria. È una patologia da tenere sotto controllo e di cui parlare con il proprio medico prima possibile. Il proctologo puòdiagnosticare le possibili malattie del colon-retto e ano e individuare le terapie mediche o chirurgiche più adatte. In genere, il problema regredisce entro sei settimane, ma in certi casi può diventare cronico e protrarsi oltre tale periodo, rendendo indispensabile un accurato trattamento.
Per curarle è importante fare prima un’attenta anamnesi del paziente per individuare la terapia più adeguata. Per prevenire il problema o rendere più rapida la guarigione delle ulcerazioni, il primo approccio terapeutico consiste nell’adozione di semplici norme igienico-dietetiche, quali quelle di eseguire più volte al giorno un’attenta igiene intima con acqua calda (il calore dà sollievo all’area interessata), di bere molta acqua e di arricchire la propria dieta di fibre vegetali per contribuire a rendere le feci più morbide e voluminose, in modo da favorire il transito addominale e la naturale dilatazione del canale anale. Per quanto riguarda il trattamento, la tendenza odierna va più verso una terapia medica piuttosto che chirurgica per evitare che il paziente possa essere esposto al rischio d’incorrere nell’incontinenza fecale. All’intervento chirurgico si ricorre nei casi in cui la terapia medica ha fallito, oppure quando la patologia si presenta in uno stadio avanzato. Tuttavia, anche in questi casi occorre distinguere la chirurgia più idonea. La terapia medica ha lo scopo di favorire il rilasciamento dello sfintere anale per consentire alle lacerazioni di guarire spontaneamente. Adatte allo scopo sono le pomate a base di trinitroglicerina o di nifedipina(addizionate ad analgesico locale) che, grazie alla loro azione vasodilatatrice e di rilasciamento dell’ipertono sfinterico, danno sollievo dal dolore. Molto impiegata è anche la tossina botulinica che agisce sulla muscolatura sfinterica provocandone il rilasciamento e favorendo la guarigione delle ragadi. Se, dopo due mesi la terapia non ha dato effetti soddisfacenti, è preferibile ricorrere alla chirurgia, perché la ragade inveterata può creare una fistola, aggravando il quadro clinico.
Giusy Egiziana Munda
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