Con la sentenza in pubblicazione, il Tar di Pescara giudica, in materia di riconoscimento della causa di servizio, che non è indennizzabile l’infortunio in itinere se il comportamento del lavoratore è contrario a norme di legge o di comune prudenza. Questo Tar rileva a tal fine che il diritto vivente è pacifico nel riconoscere come dipendente da causa di servizio anche la patologia contratta dal pubblico dipendente in esito al c.d. infortunio in itinere. Quest’ultimo è l’infortunio accaduto al lavoratore durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro. A tal fine, si è sempre pensato necessario che tra i fatti di servizio latamente intesi e le infermità o lesioni riportate dal dipendente sussista un rapporto di tipo causale ovvero concausale efficiente e determinante. Tale nesso causale è stato escluso nelle ipotesi che l’evento si sia verificato per dolo o colpa grave dell’interessato. L’articolo 58 del D.P.R. n. 686/1957, contiene le “Norme di esecuzione del testo unico delle disposizioni sullo statuto degli impiegati civili dello Stato”.
Questo dispone, infatti, che “nulla può essere liquidato all’impiegato se la menomazione della integrità fisica sia stata contratta per dolo o colpa grave di lui”.
I Giudici, tuttavia, ritengono che il nesso di causalità tra l’attività lavorativa in senso ampio e l’evento dannoso si interrompe tutte le volte che condotta del dipendente sia stata determinante se ha agito con dolo o colpa grave. In particolare, i presupposti del c.d. infortunio in itinere non sussistono quando dagli accertamenti si renda noto che la causa dell’incidente occorso ad un pubblico dipendente, è da attribuire a comportamenti del lavoratore contrari a norme di legge o di comune prudenza.
Inoltre, per ritenere fondata la colpa grave, non è sufficiente dimostrare la violazione di una norma, ma è necessario che il comportamento sia così sconsiderato da rendere ampiamente prevedibile l’evento dannoso.
Francesco Sanfilippo
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