L’attività motoria si struttura come un insieme di azioni basate sul dialogo corporeo. Lecapacità motorie si possono ripartire in due grandi gruppi: capacità coordinative e condizionali. Esse comprendono la forza, la velocità, la mobilità articolare, la resistenza e rappresentano presupposti fondamentali per l’apprendimento e l’esecuzione di azioni motorie più complesse. Ne consegue che il loro fisiologico sviluppo condiziona la strutturazione degli schemi motori e l’apprendimento di abilità motorie più complesse, quali lanciare una palla nel canestro o calciare una palla in rete.
In una visione più olistica, l’educazione motoria permette di approfondire la conoscenza di sé e dell’altro, la relazione con i pari e con gli adulti presenti, l’espressione e la comunicazione – o meglio – l’esternazione di bisogni e di sentimenti.
I profondi mutamenti sociali, culturali ed economici che hanno interessato la nostra società, hanno determinato un radicale cambiamento nelle abitudini di vita quotidiana dei nostri bambini e dei nostri ragazzi. In un passato non troppo lontano, una consistente parte delle giornate degli stessi, terminato il canonico orario scolastico, veniva per lo più trascorsa nel cortile sotto casa o nell’oratorio del quartiere, dove il bambino, oltre a svolgere attività ludico-ricreative generalmente in gruppo, (fondamentale momento di socializzazione, confronto e condivisione con altri bambini, magari di estrazione sociale anche assai diversa), praticava un’attività motoria, più o meno generica, che ne allenava le capacità motorie, contribuendo positivamente ad un armonico sviluppo fisico e psichico. Insomma, la prima vera e propria palestra per i bambini e per i ragazzi era rappresentata dalla strada, talora vera e propria palestra di vita.
Quasi sempre i giochi preferiti erano quelli che coinvolgevano altri coetanei in attività di gruppo (giocare a calcio, giocare con le bici, giochi, più o meno, “genialmente” inventati e piacevolmente rimasti nei ricordi di chi oggi si ritrova ad avere, come me, attorno agli anta, o dagli anta in poi). La fantasia la faceva da padrona e non era strettamente indispensabile disporre di spazi dedicati per poter coltivare queste attività. Ci si adattava alle possibilità offerte dal territorio limitrofo, talora utilizzando aree nate con finalità diverse, ma, di fatto, divenute aree di grande socializzazione (parcheggi, ampi giardini, cortili).
Oggi la situazione è profondamente mutata. Paradossalmente, pur essendo più radicata la conoscenza e la coscienza sull’importanza del contesto ludico, per favorire un’armonica crescita del bambino, futuro ragazzo, a molti giovani viene sostanzialmente negata la possibilità di vivere pienamente lo spazio e il tempo nel proprio quotidiano, con i modi e i tempi personali. Il bambino, scoprendo il proprio corpo nel movimento, vivendo e percependo la propria corporeità, scopre lo spazio, se stesso e gli altri.
Nessuna play station, nemmeno la più sofisticata e realistica, potrà mai sostituirsi all’esperienza derivante dalla socializzazione e dall’interazione con i propri simili, vissuta per strada. La scuola, o meglio, l’Istituzione scolastica, dovrebbe trovare risposte adeguate alla scomparsa del cortile sotto casa, adoperandosi per colmare questo vuoto sociologico, investendo e valorizzando l’importanza dell’attività motoria, sia durante l’orario curriculare sia nelle ore successive, non relegandola a mera formalità.
Mi piace citare la frase del pedagogista Raffaele Mantegazza sul valore formativo dello sport, estensibile, per stretta analogia anche al valore del gioco nel bambino: “Si usa dire che lo sport è utile perché toglie i ragazzi dalle strade, vorremmo che attraverso lo sport (e il gioco, mi permetto di aggiungere) i ragazzi uscissero dalle case e ci tornassero in strada, per cambiarla, la strada e da lì il quartiere e la città. E perché no, magari anche il mondo. Così per sport”.