L’87° congresso della Società Italiana di Urologia introduce alcune importanti novità nella lotta alle neoplasie che colpiscono la prostata e non solo. La risonanza magnetica è stata riconosciuta come strumento primario nella lotta alle neoplasie, permettendo l’individuazione di quelle più difficili. La Pet/Tac, inoltre, consente di diagnosticare le forme recidive, mentre i nuovi radio-traccianti si dimostrano promettenti. Tuttavia, è emersa evidente anche la necessità di non intervenire precocemente in modo aggressivo per non procurare più danni di quanto non sia accettabile, preferendo la sorveglianza attiva per queste forme. Grande attenzione hanno suscitato i robot in questo settore, la cui azione si sta dimostrando promettente.
Dal 27 al 30 settembre si è svolto a Firenze l’87° Congresso della Società Italiana di Urologia, il maggiore appuntamento nazionale utile a condividere tutte le nuove idee e progettualità nel campo urologico. Sono stati quattro giorni densi di novità a partire dai Corsi di formazione per ‘giovani’ urologi alle prese con i nuovi percorsi di valutazione diagnostica ed acquisizione di metodiche interventistiche mini-invasive. La diagnostica per immagini delle malattie tumorali urologiche riveste, infatti, da sempre un grande interesse, specie per il tumore prostatico e per quello renale. Le nuove tecniche disponibili oggi sono in grado di ottenere diagnosi raffinate e di cambiare la strategia terapeutica in molti casi, mentre in altri non è ancora chiaro il reale impatto clinico e come limitarne il sovrautilizzo.
Nell’ambito dell’imaging del tumore della prostata, la Risonanza Magnetica (Rm) ha assunto oggi un ruolo primario. La Rm multiparametrica consente, infatti, una buona stadiazione locale, un accurato monitoraggio delle forme indolenti e permette di diagnosticare i casi più difficili. Allo stesso modo, la Pet/Ct ha dato risultati molto positivi nella stadiazione sistemica e nella diagnosi di recidiva di malattia, con tecniche di fusione Pet/Rm e nuovi radio-traccianti promettenti. Tuttavia vi sono ancora grosse limitazioni di sensibilità e di interpretazione dei risultati, con un frequente sovrautilizzo e costi rilevanti per la sanità. I nuovi o affinati mezzi diagnostici permettono magari di diagnosticare precocemente, ad esempio, un tumore prostatico. Tuttavia, quanto è stato espresso nel Convegno pone dubbi sul ruolo alcune volte troppo ‘aggressivo’ nella terapia del tumore prostatico e come, da linee guida, sia passato un concetto importante come la ‘sorveglianza attiva’. Questo perché il comportamento biologico della neoplasia prostatica è caratterizzato, in molti casi, da un lento accrescimento, che, in alcuni pazienti, anche se non trattata, non potrà mai diventare clinicamente evidente. È da questa constatazione biologica che è emerso sempre con maggiore vigore il dilemma, condiviso da tutte le figure professionali che si occupano della neoplasia prostatica, se, quando e come trattare questa neoplasia. Molti clinici si sono posti quindi il dubbio che alcuni pazienti potrebbero essere sottoposti a trattamenti senza che questi possano offrire loro un sicuro vantaggio sulla sopravvivenza, mentre li esporrebbe al potenziale aumento degli effetti collaterali e delle complicanze. Da qui l’ulteriore interesse dei medici specialistici verso strategie alternative nella gestione di malati con una neoplasia prostatica organo-confinata. Queste strategie hanno come obiettivo quello di evitare o ritardate l’inizio di terapie invasive, è il caso appunto della sorveglianza attiva, oppure di ovviare o minimizzare l’impatto degli effetti collaterali dei trattamenti standard mantenendo gli stessi risultati oncologici a lungo termine, questo è il caso della terapia focale. Grande spazio a questo riguardo ha avuto la recente introduzione e diffusione della chirurgia robotica che si è dimostrata capace di massimizzare i propri risultati proprio nei pazienti con malattia prostatica organo-confinata. I risultati oncologici, nei centri specializzati e già con buona esperienza, sono sovrapponibili alla chirurgia a cielo aperto, ma offrono oltre ai vantaggi della minima invasività una significativa riduzione della percentuale di incontinenza urinaria e impotenza post operatoria.
Purtroppo la scelta della robotica, attualmente, si scontra con due realtà: la necessità di ridurre gli alti costi di tale chirurgia e la curva di apprendimento di tale metodica. I corsi di Firenze introducono a queste novità ma perdono di vista, a mio parere, la necessità che buoni chirurghi si diventa con interventi a ‘cielo aperto’ e i nuovi chirurghi che approdano alla robotica spesso saltano questa tappa e in caso di complicanze potrebbero trovarsi in grosse difficoltà. Per quanto riguarda la calcolosi renale il trattamento endourologico è in continua evoluzione grazie soprattutto al perfezionamento tecnologico dell’armamentario. La chirurgia percutanea resta il trattamento standard, ma tecniche endoscopiche mini invasive come la Chirurgia Intra Renale Retrograda (RIRS) rappresentano una valida alternativa terapeutica. Le interessantissime sessioni di Chirurgia in diretta hanno evidenziato dei cultori della materia con risultati di pazienti liberi da calcoli (stone free). Ancora una volta l’aggiornamento dello strumentario è condizione essenziale per il buon funzionamento di un’Unità Operativa di Urologia. É solo la lungimiranza di un Direttore Generale insieme alle possibilità economiche che questi ha a disposizione, che determinerà la risoluzione di un problematica di pazienti con calcolosi complessa.
Dott. Emilio Italiano
Specialista Urologo
Andrologo-FECSM