Le donne in gravidanza per secoli si sono affidate alle cure delle ostetriche che, basandosi sull’esperienza acquisita, facevano nascere un gran numero grazie anche all’assenza di politiche contraccettive che limitassero le nascite come oggi. La scienza, però, non si è fermata e ha continuato a sviluppare I controlli tradizionali, compiuti mediante l’ecografo, si abbinano, oggi, ad una serie di screening prenatali che analizzano il livello di salute del nascituro in modo preciso. Le malattie che si tende sempre a evitare per i propri figli sono legate alle alterazioni cromosomiche, come la sindrome di Down. Perciò, oggi, sono utilizzati principalmente due test per valutare il cariotipo, cioè l’assetto cromosomico fetale, e per verificarne la normalità o, al contrario, la presenza di anomalie, la villocentesi e l’amniocentesi. Il primo consiste nell’aspirazione di una piccola quantità di tessuto coriale effettuata tra l’11ª e la 13ª settimana di gestazione, mentre il secondo prevede il prelievo transaddominale di liquido amniotico dalla cavità uterina che si esegue tra la 15° e la 18° settimana di gravidanza. Esistono, inoltre, il Bi-test (prelievo del sangue) e la translucenza nucale (ecografia), che offrono risultati in termini di percentuale. Nonostante l’affidabilità di questi test e la loro diffusione, la ricerca non è stata sugli allori e gli scienziati hanno, recentemente, presentato una nuova metodica, non invasiva, in grado d’identificare precocemente le alterazioni cromosomiche fetali. Si tratta, quindi, di un ordinario prelievo di sangue che la madre realizza tra la decima e l’undicesima settimana di gravidanza. Il risultato identifica sia il numero corretto dei cromosomi, sia le eventuali anomalie strutturali dei cromosomi del DNA fetale libero presente nel sangue materno. Il Dna libero, cioè non associato a cellule, è rilevabile nel sangue materno dalla 4° settimana di gestazione e la sua concentrazione si accresce con progredire dell’età gestazionale. Attuare questo esame tra la 10° e l’11° settimana di gravidanza, consente di combinare il suo risultato con quello della translucenza nucale, Così, si ottiene un risultato che non è più solo percentuale, come quello del Bi Test, e che è in grado anche di segnalare eventuali anomalie legate ad errori di piccole parti dei singoli cromosomi, le cosiddette ‘microdelezioni’. Inoltre, rileva con estrema accuratezza il numero dei cromosomi del feto. Si tratta di una novità importantissima nel campo della diagnostica prenatale, poiché permette di schivare esami come villocentesi ed amniocentesi che, oltre ad essere invasivi per la donna, possono comportare, seppur in minima percentuale, la perdita del bambino anche sano. I dati raccolti dimostrano che è presente la morte di un feto sano ogni feto affetto dalla trisomia 21 identificato dall’analisi invasiva endouterina. In Italia si attuano circa 150mila esami prenatali adoperando, ogni anno, tecniche invasive, perciò tale dato mostra questo evidenzia che muoiono 700 feti sani. Alla luce di ciò, la prevenzione della compromissione della gestazione è fondamentale, poiché si può dare la possibilità di sottoporsi a esami cosi importanti senza rischiare la vita del bambino.
Francesco Sanfilippo
Prevenzione in gravidanza, un dovere per le mamme
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