Sono passati venti secoli da quando Areteo di Cappadocia, medico greco che esercitò nella Roma di Vespasiano, coniò il termine “diabete” per indicare il passaggio degli zuccheri nelle urine, provocando lo stimolo frequente alla minzione. Da allora, l’evoluzione del diabete è partita seguendo un percorso inarrestabile, fino i nostri giorni e, sicuramente, proseguirà negli anni a venire.
Le conoscenze via via acquisite hanno contribuito non solo ad affinare sempre più la diagnosi, ma, soprattutto, il modo di trattarlo. I trattamenti hanno subito continue modifiche sia in ambito di trattamento nutrizionale che in quello farmacologico.
Le diete che si sono succedute nel corso dei secoli sono passate da vere e proprie irragionevoli restrizioni ad una visione attuale in cui viene riequilibrato il rapporto tra macronutrienti, cioè tra proteine, grassi e zuccheri, bandendo solo gli eccessi, altrimenti dannosi non solo alle persone con diabete, ma a tutta la popolazione.
I farmaci oggi disponibili sono sempre più evoluti in termini di efficacia e per il profilo di sicurezza e di tollerabilità. Ciò avviene grazie al fatto che agevolano e, in alcuni casi, ripristinano la fisiologia alterata dalla condizione morbosa, piuttosto che contrastarla forzatamente.
Tuttavia, nonostante i traguardi ottenuti, uno degli aspetti fondamentali che non riesce ad evolversi è la prevenzione. I dati ISTAT vedono una condizione che rischia di diventare preoccupante fra qualche decennio. In Sicilia si è passati da una popolazione che dichiarava di essere diabetica di 185.000 soggetti nel 2000 ad una di 290.000 soggetti nel 2010, con 8.750 nuovi casi l’anno e un incremento del 2.1% contro l’1,7% nazionale. Eppure, basterebbe sensibilizzare alla prevenzione tutta la popolazione, iniziando dalle scuole che sono delle vere e proprie officine educazionali, inserendo nei programmi didattici le regole di sana e corretta alimentazione. Si possono organizzare dei laboratori di cucina, in cui i giovani partecipanti possano imparare precocemente l’utilizzo degli ingredienti e la loro corretta associazione per la preparazione di pasti sani, senza perdere il piacere del gusto.
Tale intervento potrebbe ridurre l’attuale popolazione di giovani obesi che, nella nostra regione, è rappresentata da ben il 32% in età compresa tra i 6 ed i 17 anni di età. Dall’altra parte, i medici di famiglia, primo contatto fra i cittadini ed il mondo sanitario, potrebbero individuare chi tra i loro assistiti ha già una condizione di alterata glicemia a digiuno (glicemie comprese tra i 101 e i 125 mg/dl), o una familiarità verso il diabete tipo 2 (genitori o parenti di primo grado già con diabete). In seguito, potrebbero avviarli agli accertamenti sanitari che, non solo potrebbero essere efficaci nell’arrestare la progressione della malattia diabetica, ma nel contempo essere un vero risparmio anche di risorse economiche, altrimenti utilizzabili.
Dott. Mario Manunta
Diabetologo
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