Le malattie cardiovascolari rappresentano oggi la principale causa di morte nei Paesi industrializzati, ma soprattutto sono la causa più frequente di morbilità e disabilità. Oltre ad essere un problema sanitario di estrema importanza, le complicanze cliniche delle malattie cardiovascolari sono uno dei principali motivi di incremento della spesa sanitaria ed hanno quindi rilevanti risvolti sociali. “Le abitudini alimentari svolgono un importante ruolo nello sviluppo delle malattie cardiovascolari”, spiega il prof. Carlo M. Barbagallo, Professore Associato di Medicina interna all’Università degli studi di Palermo e Dirigente Medico presso la Divisione di Medicina Interna e Dislipidemie Genetiche del Policlinico di Palermo.
“Il maggiore introito di grassi saturi (rappresentati principalmente dai grassi di origine animale) dei Paesi nordeuropei – prosegue - è associato all’incremento di mortalità cardiovascolare attraverso un aumento della colesterolemia, ma anche altri nutrienti possono svolgere funzioni importanti. Il sale da cucina, poi, influisce in maniera determinante sulla pressione arteriosa. La dieta tradizionale delle nostre popolazioni avrebbe delle peculiarità positive, ma molti aspetti della classica dieta mediterranea si vanno perdendo. Dobbiamo controllare la qualità dell’alimentazione, oltre che la quantità. In considerazione del lungo tempo di cui i fattori di rischio necessitano per la determinazione del danno clinico, si deve sempre avere ben chiaro il concetto che le modifiche alimentari nella prevenzione cardiovascolare devono essere definitive”.
Secondo il Prof. Barbagallo è bene quindi parlare di abitudini alimentari più che di dieta. La migliore dieta è in grado di ottenere una riduzione della colesterolemia non superiore al 20%. E’ chiaro, quindi, che tali sacrifici personali non sono comparabili con l’efficacia di un trattamento farmacologico che può abbassare il colesterolo per più del 50%. “Posto che l’obiettivo è una modificazione perenne dell’alimentazione – precisa - servono poche informazioni, chiare e semplici, che i pazienti possano facilmente assimilare. Nel caso in cui non sia necessaria una riduzione del peso corporeo, è bene preferire i cibi di origine vegetale ed il pesce e ridurre il consumo di sale. Le modifiche della colesterolemia si verificano infatti solo in relazione all’introito di grassi animali, mentre i grassi vegetali non hanno alcuna influenza (tranne le fritture in cui le elevate temperature di cottura modificano la struttura chimica del grassi vegetali, rendendoli più dannosi). L’olio d’oliva e il vino rosso forniscono sostanze anti-ossidanti protettive”. Secondo Barbagallo, non esiste un effetto acuto dell’alimentazione sulla colesterolemia, ma le modifiche sono piuttosto lente. Ciò comporta che la quotidianità ha un ruolo predominante. “I cibi confezionati di tipo industriale sono da evitare – avverte Barbagallo - così come il consumo di alcolici quando i valori dei trigliceridi sono al di sopra della norma. Se un soggetto è in sovrappeso, l’obiettivo primario è il raggiungimento di un peso corporeo ideale, obiettivo che già da solo ha molteplici vantaggi, in quanto si associa ad una riduzione della pressione arteriosa ed ad un netto miglioramento sia dei parametri lipidici che di quelli glico-metabolici”.
Ma che ruolo possono avere i nutraceutici in campo cardiovascolare? “Possono essere utili per avere risultati più rapidi e drastici - risponde Barbagallo - sia sotto il profilo psicologico (prendere una sostanza naturale consente di non sentirsi malati, senza contare coloro che temono gli effetti collaterali dei farmaci classici), sia nei casi di storia clinica di eventi avversi a farmaci che ne controindicano l’utilizzo, sia ancora per la possibilità di sfruttare positivamente alcune azioni sinergiche tra farmaci classici e nutraceutici”.
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