Una presunta violenza di genere che scatena una violenza razziale: la storia della sedicenne torinese che per nascondere alla propria famiglia un rapporto sessuale, preferisce inventare di essere stata stuprata. E’il frutto di uno stato di coercizione durato nel tempo ai danni di una ragazza che ha dovuto subire il mito della verginità da parte della famiglia che la controllava in modo ossessivo. Un fenomeno culturale che ancora oggi impedisce ad una donna di vivere la propria sessualità in modo autonomo e indipendente. Un episodio che segnerà per sempre questa ragazza che porterà dentro le cicatrici di ciò che ha scatenato. In fondo perché è solo una vittima. Come lo sono i milioni di donne che subiscono stupri, abusi, e maltrattamenti di ogni sorta (fisico, emotivo, psicologico ed economico) ad opera per lo più degli uomini che amano e che non si fermano neanche davanti ai figli. “Poi nacquero i nostri figli, anche se lui non voleva fare il padre, io ero felice, riversavo tutto il mio amore su loro, erano tutto il mio mondo. Ma cominciò a trattare male anche le mie creature e questo non potevo sopportarlo. Mio figlio ricorda, ancora dopo anni, la testa di mamma sanguinante sbattuta sotto un lavabo; mia figlia ricorda ancora che ci chiudevamo nella mia stanza quando arrivava papà. Mio Dio, come faccio a perdonare me stessa per i ricordi dei miei figli!”, racconta con dolore la sua storia L., una vittima. La violenza sulle donne ha assunto le caratteristiche di una piaga sociale divenendo la prima causa di morte (più del cancro, degli incidenti stradali, delle guerre e della malaria), o di invalidità permanente per le donne tra i 14 e i 50 anni. E’ un fenomeno legato alle “relazioni di potere storicamente disuguali tra uomini e donne”, recita la Declaration on the Elimination of Violence against Women dell’Onu del 1993. I dati del fenomeno sono inquietanti: una donna su tre in Italia, cioè 10 milioni di donne nel nostro Paese, ha subito abusi e maltrattamenti nel corso della propria vita. Una cifra spaventosa, da pandemia e nell’80% dei casi il bruto è una persona conoscente. “Sono circa il 94% gli episodi di violenza che si svolgono tra le mura domestiche in cui è coinvolto il partner”, rivela la Dott.ssa Vittoria Messina, presidente de Le Onde Onlus di Palermo. Donne che, intrappolate nel loro dolore, non denunciano la violenza subita. “Perche è difficile affrontare il senso di vergogna, la reazione di disprezzo, di accusa di tradimento da parte del contesto sociale di appartenenza perché, quando si denuncia il partner per atti di violenza, si è tradita la famiglia, legata al motto ‘i panni sporchi si lavano in casa’, dichiara la psicologa Renata Di Giovanni. “Ci sono donne – prosegue - che vivono ogni giorno in condizioni di pericolo a causa di mariti alcolisti e violenti, senza ribellarsi. Sostengono di avere paura anche quando è molto più pauroso restare in quella situazione che non andandosene. E, così facendo, espongono a volte alla stessa violenza anche i figli che restano incatenati a loro e alla situazione che si è creata. Sono donne con un grandissimo bisogno di aiuto a tutti i livelli proprio perché, in questi casi, i partner sono riusciti, con grandissima abilità, a fare letteralmente terra bruciata attorno a loro, svalutandole sotto ogni profilo, facendole sentire delle nullità, fino ad azzerare totalmente la loro volontà e capacità di difesa”.
Per incoraggiare le donne vittime di violenza a denunciare è necessario creare un contesto sociale sensibile, libero dal pregiudizio, in cui gli strumenti di tutela siano noti e accessibili. Nella realtà attuale, invece, i drastici tagli operati in ambito sociale hanno ridotto la tutela e la capacità di accoglienza da parte di case famiglia e comunità alloggio delle donne abusate e dei minori a rischio. E in Sicilia? Le denunce sono solo il 23%. “Una conseguenza del sommerso - che nell’Isola è ancora predominante - e del non riconoscimento della violenza in quanto tale da parte delle vittime”, precisa la Dott.ssa Messina. Per fare emergere il sommerso occorrono interventi di prevenzione e di sensibilizzazione a partire dalle scuole, nelle quali parlare di violenza, di come riconoscerla e fermarla e dei servizi a cui rivolgersi, dev’essere una linea guida. Servono, inoltre, una maggiore tutela dal punto di vista legislativo, un rafforzamento dei centri antiviolenza, l’avviamento di servizi pubblici e privati di primo contatto, case rifugio per le donne e i loro figli e interventi di inclusione sociale e lavorativa. L’Associazione Le Onde nasce, appunto, come luogo di donne a cui le vittime di violenza possono rivolgersi anche anonimamente. Chi ha subito violenza può telefonare al 1522. E’ un numero gratuito, multilingue,attivo 24 ore su 24 che attraverso un servizio di ascolto specializzato fornisce alle vittime le indicazioni per l’uscita dalla violenza”.
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