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Chirurgia mini invasiva del ginocchio: meno dolore e più rapido recupero funzionale
di Giusy Egiziana Munda -

Il crescente interesse in ambito medico al trattamento del dolore ha stimolato, negli ultimi anni, lo sviluppo di tecniche chirurgiche sempre meno aggressive per il paziente. Lo conferma il dott. Fabio Bernetti, responsabile dell’unità funzionale di Ortopedia della Casa di Cura Santa Barbara di Gela, che dichiara: “L’impiego di tecniche mini invasive e mini aggressive nell’approccio chirurgico al paziente sta avendo un sempre maggiore sviluppo anche per quanto riguarda l’inserimento delle protesi del ginocchio, perché determina un migliore recupero funzionale del paziente, grazie alla conseguente riduzione della lunghezza nell’incisione dei tessuti, al risparmio dei tessuti tendinei e legamentosi (come i propriocettori dei legamenti, o la capsula articolare), alla conservazione dei legamenti crociati e alle ridotte perdite ematiche postoperatorie”. 
Attraverso questa nuova tecnica (la cui adozione nella casa di cure gelese si deve alle dimostrazioni del noto professore francese Etienne Penetrat), si è constatato che è possibile mettere in piedi un paziente con protesi al ginocchio e senza l’uso delle stampelle già dal quinto giorno dall’intervento. “I risultati del trattamento riabilitativo post operatorio sui nostri pazienti – dichiara Bernetti - sono sostanziali ed obiettivamente riscontrati: pazienti più contenti, meno dolore, meno utilizzo di farmaci, migliore compliance, ritorno a casa dopo pochi giorni dall’intervento (in genere 12– 15, contro i 20 di prima)”. Un vero salto di qualità, se si pensa che già il solo fatto di ridurre il dolore della fase post operatoria gioca un ruolo rilevante, favorendo un più rapido recupero delle funzioni motorie del paziente. “Si è visto, infatti - conclude Bernetti -che il recupero del paziente è più lento quando l’impianto di protesi procura molto dolore nella prima fase post operatoria, anche quando si evidenzia radiologicamente che l’intervento è andato bene. E’ come se la memoria del dolore condizionasse il recupero funzionale”.

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