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Giannetto: "Cresce il numero dei dializzati in Sicilia, bisogna investire di più nella prevenzione"
di Franca Barra - redazione@nellattesa.it

In Sicilia i pazienti in dialisi sono in aumento del 3,2%. E' il dato emerso in seno ad un recente convegno dal tema "Sopravvivere non basta. Miglio-rare la qualità della vita", al quale hanno partecipato medici, economisti e filosofi, svoltosi a Palermo nell'ambito della Giornata mondiale del rene. Secondo il Registro siciliano di nefrologia, dialisi e trapianto, infatti, si stima che, al 30 giugno 2009, i pazienti in dialisi sono stati 4720, (pari a 938 casi su 1 milione di popolazione), contro i 4572 (pari a 908 su 1 milione di popolazione) stimati al 31 dicembre 2008. L'assessore regionale alla Salute, Massimo Russo, in occasione dell'assemblea regionale dell'ANED Sicilia (Associa-zione Nazionale Emodializzati), ha illustrato quali sono le trasformazioni in atto nel mondo della dialisi, conseguenti, da un lato, al piano di rientro previsto dal provvedimento regionale e, dall'altro, dal necessario riordino del settore (da anni fuori controllo), assicurando ai pazienti che nulla sarà tralasciato per garantire la qualità dei trattamenti nell'ambito di una maggiore razionalizzazione delle spese.
Ma, dalle strutture di emodialisi provengono numerose oservazioni al piano di riordino. Per saperne di più, abbiamo sentito il Dott. Vincenzo Giannetto, specialista nefrologo, dirigente medico della Sezione tecnico-dialitica del Policlinico e professore della Scuola specialistica di Nefrologia.

nella foto: Il Dott. Vincenzo Giannetto

 

 

 




Dott. Giannetto, cosa ne pensa del provvedimento regionale?
"Il settore della dialisi ha avuto particolari attenzioni da parte dell'assessore che, con tre decreti successivi, ha riportato in auge le tariffe del tariffario Bindi, risalenti al 1995. Il terzo decreto, oltre a colpire le strutture private di dialisi, pone una condizione che non esiste negli altri ambiti della sanità: per inserire un paziente in un programma di trattamento, si deve prima inviarlo alle unità operative di riferimento (cioè, strutture nefrologiche ospedaliere) che decideranno se il paziente deve iniziare la dialisi e quale sarà il tipo di terapia che dovrà seguire. Con questo provvedimento i centri di dialisi privati sono stati messi sotto tutela. Io opero all'interno della struttura pubblica, ma non posso non sottolineare che il lavoro di molti di miei colleghi che operano nel privato è pari a quello di chi lavora nel pubblico: non esistono nefrologi di serie A e nefrologi di serie B, siamo tutti specialisti di analogo valore professionale".

Quindi, è contrario ai controlli sulle strutture private?
"Sono convinto assertore di un principio: è giusto che tutte le strutture sanitarie debbano essere sottoposte a controlli. Non capisco, però, perché questi avvengano solo nell'ambito del privato, escludendo le strutture pubbliche che, addirittura, sono autoreferenziali. Esistono degli strumenti scientifici che si chiamano Audit, per i quali una struttura pubblica viene misurata nell'espressione della sua qualità. Tutto questo, però, non esiste in Sicilia e le istituzioni sembrano ignorarli. Questa dicotomia di comportamenti tra pubblico e privato non è un bene.". 

Nell'ambito di quel circuito virtuoso che tanto si vuole realizzare tra medico di base, struttura pubblica e centri privati, la sanità siciliana ha le condizioni per riuscire a svolgere un ruolo di cura, controllo e smistamento della richiesta sanitaria?
"No. E chi ne fa le spese è sempre il cittadino/paziente, che sarà costretto a girovagare nell'ambito delle realtà mediche locali per avere autorizzazioni, visite, ecc… Secondo il provvedimento assessoriale, il cittadino dovrà passare dal medico di base alla struttura sanitaria pubblica di riferimento che, eventualmente, lo invierà a quella privata".

Quindi, se una donna decide di partorire presso una clinica privata, dovrà chiedere l'autorizzazione alla struttura pubblica? 
"Ritengo che un provvedimento del genere sia da rivedere. Solo un consesso scientifico dovrebbe stabilire se le unità operative di riferimento siano deputate a decidere l'eventuale assegnazione di un paziente alla struttura privata. Ma nessuna di queste ha mai subito un processo di analisi qualitativa. Se i dati emersi dal Registro siciliano di nefrologia, dialisi e trapianto rivelano che tra il 2008 e il 2009 in Sicilia si è avuto un incremento dei pazienti in dialisi del 3,2 per cento annuo, per riuscire ad invertire questa tendenza (tipica della società del benessere perché frutto di altre patologie, come il diabete, la cui espansione cresce in modo spropositato), il provvedimento regionale dovrà puntare sull'investimento nella prevenzione. Dunque, se è stato stimato che la manovra adottata da questo decreto porterà a circa 10 milioni di euro di risparmio, l'ideale sarebbe che parte di essi venissero investiti in un progetto di prevenzione sfruttando l'esistente, ossia tutte le strutture private sparse in maniera ubiquitaria sul territorio siciliano, dando ad ognuna un preciso compito di prevenzione. In questa maniera il risparmio raggiunto potrebbe avere un senso, portando nel giro di un decennio ad un decremento dei casi di dialisi. Per avere i risultati di una campagna di prevenzione nel tempo medio di 5-10 anni è necessario partire sin da subito sfruttando tutte le risorse già presenti sul territorio, anziché cassare le realtà private che, comunque, svolgono un ruolo sociale. Si pensi, per esempio, ad un dializzato che vive a San Mauro Castelverde. Se non vi fosse il centro di dialisi nelle vicinanze di quella località, il paziente dovrebbe affrontare lunghe distanze a giorni alterni per spostarsi sino a Palermo. Quel centro, quindi, svolge un'azione sociale".

Ma, secondo lei, quale sarà il futuro della sanità in Sicilia?
"Si favorirà la formazione di accorpamenti, determinando la chiusura dei centri sanitari più piccoli, a discapito del paziente che non troverà più sotto casa il centro più vicino, ma dovrà spostarsi nel paese o nella città dotata del servizio di cui necessita. Mi chiedo quanto tutto ciò abbia di etico? Vorrei fosse chiaro che, decurtando in maniera considerevole il rimborso di una prestazione di dialisi e limitando fortemente il ritorno economico della struttura, si rischia di pensare troppo in termini di risparmio. E in ambito sanitario questo può diventare pericoloso: significa peggiorare la qualità del servizio, acquistando prodotti qualitativamente scadenti che consentiranno di operare con pessimi risultati. La diagnosi di qualità deve poter contare sulla possibilità di investimenti. Il risultato si vedrà tra qualche decennio con l'aumento dell'incidenza di alcune patologie e dei casi di mortalità. E il danno è sempre a carico dei pazienti".

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